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I DECANI: ritornando all'Umanesimo e al Rinascimento MESE DI DICEMBRE: quella decadente mancanza di senso nelle immagini attuali del web.
"VIRGOLETTE"
Saggistica
Recensioni (libri, film e qualsiasi forma artistica)
pubblicato il 2018-12-15 08:25:15
Mese di dicembre:
quella decadente mancanza di senso nelle immagini attuali del web.
- segno zodiacale e Decani del Palazzo Schifanoia di Ferrara: ricostruzione delle icone sbiadite di Maurizio Bonora -
Figlie e figli dell’Umanesino, Signore e Signori del Rinascimento, intorno a noi vi sono i sacramenti della mediocrità coatta e della degradazione dell’umano a gregge, e ci muoviamo in un mondo sconosciuto, dove vi sono caverne ed ombre e abitatori delle tenebre.
Capita che talvolta l’essere umano regredisca sulla via dell’evoluzione, e osservando con raccapriccio il massacro quotidiano del senso delle immagini, completamente annichilito in quella sorta di lager per la mente che sono gli orrori indicibili di WhatsApp o di Instagram e similari, imploro il primo Decano di dicembre di riportarmi nell’eterna epoca dell’emblematica rinascimentale, ai tempi dell’ ”Emblematum liber” del grande Andrea Alciato.
E’ noto in tutto il mondo che la nostra Rinascenza prediligeva il mondo visibile delle icone e degli emblemi, espressione manifesta nell’esaltante mondo della scultura, dell’architettura e della pittura.
E’ meno noto – soprattutto tra noi eredi italici – che nel Rinascimento le immagini mitologiche, pagane e/o cristiane, erano quasi sempre vivificate dall’ecfrasi (clicca e vedi il video) :
come un ventaglio decorato si apre e distendendo a poco a poco, sapientemente, la sua superficie semicircolare esibisce chiara e distinta la figurazione che lo trama, così il pensiero dispiega e mostra con il prezioso ed emozionante ausilio delle immagini i propri elaborati e complessi ragionamenti, suscitati dalle icone e raccolti dalla logica nell’intimo.
Nel 1531, lo stampatore Heinrich Steyner illustrava con delle xilografie il primo, mitologico Libro degli Emblemi, composto inizialmente con poesie latine dal giureconsulto e umanista Andrea Alciato, che aveva dedicato a un suo amico studioso.
Il successo del volume fu tale che l’Emblematica divenne un genere diffuso in tutta Europa per tre secoli e poi si trasformò in varie forme, per arrivare alle nostre odierne “graphic novels”.
Alciato e Steyner inventarono un modo speciale e geniale per collegare le immagini alle parole, l’ecfrasi.
Questo procedimento si basa sulla cognizione lucida e logica che delinea e guida la sequenza iconica che, altrimenti, risulterebbe priva di quella salda e interna coniugazione fra le parti e il tutto, che rende possibile, fruibile e manifesta la dinamica del pensiero stesso ivi contenuto, vale a dire del processo di riflessione che visualizza le idee e i concetti celati nel significante delle immagini.
Ed è proprio questa mancanza di coordinazione fra le partI e il tutto che caratterizza l’orrendo caos senza senso che avvertiamo quando usiamo WhatsApp , Instagram o altri disordini mentali simili.
Con il tempo e il succedersi delle fortunate edizioni dell’Emblematum Liber, Andrea Alciato strutturò la modalità dell’emblema, che è così formata:
a) Inscriptio, il Titolo: la succinta denominazione che dichiara il soggetto, il tema e l’idea dell’Emblema;
b) Pictura o Res Picta, la figurazione: la visualizzazione iconica del tema o del concetto emblematico;
c) Subscriptio o poesia descrittiva: descrizione in versi del soggetto, che poi nelle successive edizioni si arricchirà di commenti in prosa esplicativi.
Nell’odierno proliferare sui social web di miriadi di immagini prive di senso, accompagnate da frasettine asfittiche (e spesso puerili) sempre più frammentate e ridotte all’afasia del telegramma, il nesso che coinvolgeva dialetticamente le due facoltà immaginative (quella di chi parla o scrive e quella di chi ascolta o legge) è stato annichilito, ed è cominciata una degradazione della comunicazione umana grave e preoccupante, che al momento sembra non avere fine e rimedio.
L’ecfrasi intellettiva permetteva alle rappresentazioni mentali di dipanare i suoi discorsi nello specchio delle immagini in azione, per poi proporli e comunicarli all’altro da sé.
La quasi completa ignoranza di questa tecnica comunicativa e la conseguente indifferenza verso il dovere di essere chiari e fruibili a un altro da sé, indica chiaramente che ci troviamo in una sorta di tirannia egotica di massa, che desta allarmata inquietudine nell’autore.
Chiedo pertanto a un altro Decano di dicembre di mostrare l’Emblema “Occasione” di Andrea Alciato, come antidoto, esempio e contromovimento a questa nuova barbarie che ci circonda e assedia; oggi quasi tutti sui social ciarlano di occasioni sognate, perdute e proclamate senza preparazione e pudore; sarebbe prima il caso d’imparare a comunicarle al prossimo con un minimo di chiarezza e fruibilità.
La fiducia in se stessi, nella propria "virtus" avversaria del fato avverso e della fortuna, soppiantò la medievale visione teocratica -e spesso fanatica- della realtà, scardinandola: gli eventi e le decisioni umane cessarono di essere frutto della volontà divina o del determinismo astrologico o di forze esterne; la nozione di libertà di scelta e di azione penetrò profondamente nella percezione dell'uomo e del mondo e diede forma agli ideali di etica civile, pragmatismo, individualismo, competitività, legittimazione della ricchezza acquisita con il merito ed esaltazione della vita attiva del corpo, dell'anima e della mente.
Ora necessita un nuovo Rinascimento contro il nuovo egocentrismo di massa.
SULL’OCCASIONE
Quest’opera è di Lisippo, che ha patria a Sicione. Chi sei?
Un attimo di tempo che si afferra e tutto vince.
Perché ti sostieni con le ali? Son roteata senza sosta.
Perché porti i calzari alati? Da ogni parte mi rapisce la brezza leggera.
Dì, perché nella destra tieni un rasoio affilato?
Mostra con il suo filo tagliente che sono più sottile di ogni cosa.
E i capelli sulla fronte?
Perché chi m’incontra m’acciuffi.
Dì un po’, tu, perché hai la nuca calva?
Una volta che mi si lascia fuggire via con le ali ai piedi,
nessuno potrà più agguantarmi per il ciuffo.
Per te, straniero, lo scultore m’ha plasmato con tale arte,
e affinché sia monito a tutti, un bel loggiato mi mette in bella mostra.
Mentre sfioro con la mano il nodo centrale, il nodo sapiente, intrecciato dai due serpenti cosmici nel caduceo del monumento funebre di Andrea Alciato, nel cortile di Volta dell’Università di Pavia, ristabilisco il contatto con il “nexus” cognitivo tra “verba” e “imagines agentes” e l’abisso di Babele è vinto.
"Andros dikaiou karpos ouk apollutai".
"Il frutto dell'uomo giusto non svanisce".
- continua -
Luoghi visitati lungo il viaggio interiore nel Rinascimento:
1) Mont Ventoux, Provenza;
2) Studiolo di casa Francesco Petrarca, Arquà Petrarca;
3) Monumento funebre di Andrea Alciato, cortile della Volta dell'Università di Pavia.
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L'AUTORE Mauro Banfi il Moscone
Utente registrato dal 2017-11-01
Visual storyteller, narratore e pensatore per immagini. Mi occupo di comunicazione tramite le immagini: con queste tecniche promuovo organizzazioni, brand, prodotti, persone, idee, movimenti. Offro consulenza e progettazione del racconto visivo per privati, aziende e multinazionali. Per contatti: zuzzurro.zuzzu@gmail.com
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Come sempre stupenda incursione, caro Rubrus, per preparazione, intuito e cognizione di causa, nella millenaria storia del rapporto tra parola e immagine nella comunicazione umana.
Sono state scritte biblioteche sull'argomento e ne avrò letto, ad andar bene, solo il 15%, ma una certa idea me la sono fatta.
Il tutto è un caleidoscopio rutilante caricato con i tre colori primari per formare miriadi di sfumature di colore: e chiaroscuri:
il mythos e il pathos che vengono prima del logos, ma sono tutti e tre primari e importanti e senza uno dei tre, gli altri due sono anatre zoppe.
a) il Mythos: nel tentativo di spiegare la natura e il mondo l'uomo ha fatto ricorso ai miti, nello stesso tempo storie tramandate dagli antenati e d'immaginazione.
In principio, per esempio, le calamità naturali vengono considerate espressione dell'ira degli dei, che stanno lottando tra di loro o stanno punendo gli uomini per qualche crimine; da qua viene il
b) Pathos: il terrore sacro che deriva dal sentire l'ira divina in azione, il perturbante detto in termini razionalizzati, e da qui veniamo alla terza forza dell'anima umana:
c) il Logos, che deriva dal verbo leghein, raccogliere: si cerca di comprendere il terrore sacro senza ricorrere ai miti ma con un discorso organizzato chiamato poi anche Ragione.
Miti, passioni, ragionamenti: tre potenze interiori dell'essere umano che lottano ogni giorno per trovare una configurazione in equilibrio, che renda possibile i miracoli della comunicazione e dell'espressione: Logos sarx egheneto, Verbum caro factum est, le tre radici fondamentali della nostra cultura occidentale, Atene, Roma e Gerusalemme ci mostrano che non siamo iconoclasti, ma degli iconofiliaci particolari, tendenti all'allegoria o alla metafora, per libera scelta.
Gli atti del Concilio di Nicea sono illuminanti in questo senso, e Alciato li conosceva, come ben conosceva lo scudo di Achille, una delle ecfrasi più amate nell'umanesino rinascimentale.
E allora diamo la parola a Omero, che vale più di centomila saggi: inscriptio, res picta e subscriptio.
Abbi gioia
lI fabbro si mise subito all’opera. Tornò verso i venti mantici, li rivoltò al fuoco pronto a lavorare. Soffiarono sulle fornaci, sbuffando poderosi getti d’aria, talvolta brevi e talvolta di lunga durata a seconda delle esigenze di Efesto. Nel fuoco mise a fondere oro, stagno, argento; sul piedistallo pose un’enorme incudine. In una mano aveva un maglio, nell’altra reggeva forti tenaglie. Realizzò uno scudo grosso e pesante, ornandolo in ogni lato. Lo completò con un triplo orlo, lucido e scintillante, e una tracolla argentata.
Gli ornamenti ricoprivano le cinque zone dell’arma: vi disegnò terra, cielo, mare, il sole infaticabile e la luna piena, le stelle Pleiadi e le Iadi, Orione e l’Orsa anche detta Carro, che gira sopra sé stessa, unica a non tramontare mai. Vi fece due città di mortali: in una si celebravano nozze e banchetti, con spose che si allontanavano dai talami e con torce fiammanti si disperdevano per le strade. Fra loro giravano giovani danzatori al suono di flauti e cetre. Le donne, ciascuna sulla propria porta di casa, ammiravano i balli. C’era il popolo raccolto nella piazza, dove sorgeva lite tra due uomini che litigavano perché l’uno aveva ucciso un parente del secondo. Il primo gridava in pubblico di aver offerto la giusta ricompensa, l’altro si lamentava sostenendo di non aver ricevuto niente in cambio. Entrambi ricorrevano al giudice per una sentenza, mentre il popolo provava a difendere le ragioni dell’uno o dell’altro. Gli araldi trattenevano la gente, mentre gli anziani sedevano in circolo su pietre lisce reggendo tra le mani i bastoni con i quali, a turno, si alzavano a sentenziare. In mezzo ad essi erano disposti due talenti d’oro, da riservare a chi avesse meglio fatto rispettare la giustizia.
L’altra città era circondata in due lati da un esercito che brillava nelle proprie armi. I capi erano indecisi se dividere in bottino le ricchezze della rocca o distruggerla compieta-mente. Gli abitanti tuttavia non si piegavano all’assedio e si preparavano a un agguato. Altri uomini impavidi difendevano strenuamente mura, spose, figli, anziani. 1 primi erano condotti da Ares e Atena, vestiti d’oro, grandi dietro le loro armi, visibili come numi nel cielo; i loro avversari, in confronto, parevano molto più piccoli. Arrivati al punto dove era stato stabilito sarebbe avvenuto l’agguato, al fiume dove si abbeveravano le mandrie, si accovacciarono rinchiusi dietro i propri scudi. A relativa distanza da essi si trovavano due spie dell’esercito, di guardia nell’attesa di veder comparire gli animali al pascolo. Videro arrivare buoi e pecore condotti da due pastori che, ignari del prossimo assalto, si dilettavano con il flauto. Le spie tagliarono la strada alle bestie e ne uccisero i padroni. Sentendo strepito provenire dal fiume, gli uomini seduti in assemblea balzarono sui cavalli, raggiunsero il pascolo e diedero vita a battaglia furibonda con lunghe ste di bronzo. Gli spiriti della morte si aggiravano fra loro, ora abbracciando un ferito, ora trascinando per la mischia defunti o uomini illesi. Sulle spalle vestivano un mantello rosso di sangue umano. Lotta e tumulto si mescolavano tra i soldati come fossero mortali e portavano strage nella contesa. Efesto realizzò anche un molle terreno appena adattato alla coltivazione e un grasso e largo campo, di tre arature, dove molti contadini spingevano i buoi da parte a parte sotto il giogo. Avvicinandosi, un uomo poneva in mano a essi una coppa di dolcissimo vino; insieme giravano ogni solco, ansiosi di arrivare alla fine del maggese. Dietro di essi, terra nera sembrava arata, pur essendo d’oro; una meraviglia a vedersi.
Intarsiò quindi un terreno regale, dove altri contadini mietevano con falci affilate; cadevano sotto le loro mani i mannelli. Tre legatori li stringevano con corde di paglia e dietro di essi andavano fanciulli che a braccia trasportavano le spighe. Il re, in silenzio, reggeva lo scettro sul solco, lieto del lavoro dei propri sudditi. Gli araldi preparavano il pranzo sotto una quercia: ucciso un bue, lo ponevano sul fuoco. Le donne versavano bianca farina sulla carne.
Disegnò una vigna carica di neri e pendenti grappoli da pali argentati. Intorno ad essa pose un fossato di smalto e una siepe di stagno. Un solo sentiero permetteva ai coglitori di andare alla vendemmia: giovani fanciulle, allegramente, portavano i frutti in canestri intrecciati. In mezzo a loro un ragazzo pizzicava una cetra e cantava con voce melodiosa; i suoi compagni battevano il tempo con i piedi e danzavano, gridando e saltellando.
Vi fece poi una mandria di vacche dalle dritte corna, tutte d’oro e stagno. Dalla stalla, muggendo, muovevano al pascolo lungo i canneti, verso il fiume. Quattro pastori guidavano le bestie, accompagnati da nove levrieri. In testa alla mandria due spaventosi leoni trascinavano un toro che muggiva furiosamente; giovani e cani andavano cercandolo.
Le due fiere stracciavano la pelle della preda e ne azzannavano le viscere. Erano inseguiti dai pastori, che contro di loro aizzarono i levrieri: questi si guardavano dall’attaccare i leoni, limitandosi ad avvicinarli e ad abbaiare con forza.
Realizzò un pascolo di pecore in un’ampia valle, con stalle, recinti c capanne col tetto. Colà si eseguiva una danza simile a quella che Dedalo fece per Arianna a Cnosso. Fanciulli e fanciulle ballavano tenendosi per mani e polsi. Le femmine indossavano veli sottili e belle corone, i maschi tuniche ben lavorate, brillanti d’olio, e spade dorate appese a cinture d’argento. Talvolta correvano in cerchio, scorrendo come la ruota realizzata dall’artigiano quando ne verifica la compattezza; in altri momenti correvano disposti in fila, gli uni verso le altre. Intorno ai balli v’era radunata molta folla, rapita dalle evoluzioni di due acrobati, che roteavano in mezzo al pubblico dando inizio alla festa.
Infine, lungo l’ultimo giro dello scudo, disegnò le correnti possenti del fiume Oceano. Dopo averlo completato passò a lavorare su una-corazza splendente più delle fiamme del fuoco. Costruì un solido elmo che si adattasse alle tempie di Achille e vi dispose in cima un aureo cimiero. 1 gambali furono completati con stagno. Conclusa ogni opera, Efesto sollevò le armi e le pose alla vista di Teti. Ella, come uno sparviero, le afferrò e scese fulminea dall’Olimpo.
Omero, Iliade, traduzione di Marco Bonfiglio