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"PUNTO E A CAPO" Racconto Narrativa non di genere
di Vecchio Mara
pubblicato il 2018-10-17 10:19:18
La cena delle beffe
Dalla vetrata della saletta riservata del ristorante si poteva vedere la pista della discoteca, sita al piano inferiore, dove in un ambiente addobbato in stile simil-gotico, ragazze paludate con lugubri tuniche da strega e altri costumi orripilanti si dimenavano confrontandosi con ragazzi simil-vampiro o simil-zombie.
Seduti attorno alla tavola imbandita, tre uomini e le rispettive consorti con indosso anch’essi costumi a tema, dopo alcune portate bagnate con dei bianchi e dei rossi sapientemente abbinati, stavano arrivando al punto della cena in cui, complice le abbondanti libagioni, la conversazione cambia repentinamente registro e si comincia a spiattellarsi in faccia verità nascoste.
Alla cena generosamente offerta, così come i costumi affittati per l’occasione, dall’unico che se lo poteva permettere, ovvero Marco, quarantenne imprenditore che, come si suole dire, si era fatto da solo, sarebbe poi seguita una puntata in discoteca.
Alla destra di Marco sedeva la minuta e diafana Ersilia, sua moglie. Alla sua sinistra Gianni, affiancato dalla moglie, l’atletica e abbronzatissima Luisa, assidua frequentatrice di palestre e centri benessere. E a seguire, Edoardo con sua moglie, la procace Bruna, i cui ricci corvini e i grandi occhi color nocciola tenuti costantemente spalancati addosso all’interlocutore, ispiravano spesso cattivi pensieri.
Li univa un’antica amicizia, nata sui banchi di scuola, il fatto di essersi sposati attorno ai vent’anni e di essere diventati presto padri. Li divideva l’odio di classe.
Il collante che teneva insieme questa strana alchimia di sentimenti contrastanti, era null’altro che reciproca convenienza. Conveniva, a Edoardo e Gianni, tenersi buono l’amico ricco per godere anch’essi della sua ostentata opulenza. Così come conveniva a Marco invitare i due a cena, o a qualche fine settimana nella sua villa al mare, in modo da poterla esibire, la sua opulenza. Un’opulenza sfacciata, che invece di far sgranare occhi stupefatti, avrebbe sicuramente fatto storcere il naso agli imprenditori con i quali era solito confrontarsi nel mondo degli affari.
Chi fosse il capotavola, ovvero chi aveva invitato al suo desco i riluttanti amici, nonostante la tavola fosse rotonda era facile da comprendere anche a occhi chiusi; sarebbe bastato ascoltare le loro conversazioni: Marco era quello più sicuro di sé; il più arrogante, se vogliamo.
«Cosa c’è, rompicoglioni! Il vino non è di tuo gradimento?» lo apostrofò ironicamente Marco: alzando il bicchiere per l’ennesimo brindisi si era accorto che Edoardo era perso nei suoi pensieri.
Questi guardò la moglie, che lo incoraggiò accennando un sorriso.
In fondo aveva accettato l’invito per un motivo, uno soltanto, e quello del poco amato Marco pareva un assist da sfruttare. «E’ da un mese che sono a spasso», rispose in un sospiro chinando il capo, quasi avesse a vergognarsene.
«Ti hanno licenziato?!» esclamò Marco stupefatto. «Come, perché?» domandò poi posando il bicchiere.
Edoardo si strinse nelle spalle. «Boh! Dicono che il lavoro è calato… che c’è la crisi!»
«Ma quale crisi! E’ una scusa bella e buona! Non c’è mai stato tanto lavoro come ora!» sbottò Marco. Volse lo sguardo su Gianni. «Tu lo sapevi?» gli chiese seccamente.
Gianni si limitò ad annuire.
«C’incontriamo ogni lunedì, perché non me ne hai parlato?» insistette Marco.
Gianni faceva il rappresentante di articoli per ufficio e Marco era uno dei suoi migliori clienti.
«Perché pensa solo ai suoi affari!» saltò su Edoardo guardandolo torvo.
Calò un breve silenzio. Bruna, serrandogli l’avambraccio, fece capire a Edoardo che non era il caso. Marco fissò prima uno poi l’altro. «Già… gli affari», fece tamburellando con le dita sulla tovaglia.
«Non lo puoi aiutare?» domandò timidamente Ersilia.
Marco la fulminò con lo sguardo e lei si ritirò in buon ordine.
«Mi andrebbe bene anche un posto da magazziniere», precisò Edoardo, prendendo la palla al balzo.
«Magazziniere, eh?» fece Marco ghignando. «Perché non ce lo trovi tu, un posto nella tua azienda!» aggiunse rivolgendosi all’altro.
«Io?» fece Gianni cadendo dalle nuvole. «Ma se devo lottare ogni mese con il budget per non farmi cacciare!»
«Siamo messi bene: uno è in mezzo alla strada e l’altro ci sta andando dietro!» sbottò Marco versandosi dell’altro vino. Lo ingollò e proseguì sarcastico. «Ma guarda te se dovevo invitare due falliti alla cena di Halloween… fate più paura voi, che tutti quelli che ballano laggiù truccati da mostri!» e giù una grassa risata.
«Smettila!» proruppe Luisa. «Mio marito non è un fallito! Non puoi trattare così i tuoi amici perché tu hai avuto fortuna e loro no!»
Marco le dedicò uno sguardo pietoso. «Si chiama abilità…», fece appena in tempo a dire, prima che il cameriere entrando con un vassoio cristallizzasse la scena.
Attesero in silenzio che servisse le coppe di gelato, e quando se ne fu andato, Marco riprese in tono pacato: «Fortuna e sfortuna, sono solo scuse, buone per tirar su il morale degli incapaci. Eppure le donne sanno apprezzare meglio degli uomini l’abilità… in ogni campo…» immerse l’indice nella coppa di gelato, lo succhiò. «Non è forse così, Bruna?» domandò sibillino rivolgendosi alla moglie di Edoardo.
«No… non credo… non chiederlo a me», biascicò lei arrossendo.
«Lascia in pace mia moglie!» gli intimò Edoardo.
«Basta, ti prego», intervenne Ersilia con filo di voce. Bastò uno sguardo obliquo di Marco a ricacciarla nel suo cantuccio.
«Sì, dai Marco, falla finita, siamo venuti qui per divertirci; ci siamo pure messi in maschera per passare una serata in allegria. Gustiamoci il gelato e poi scendiamo giù è vediamo di concludere come avevamo iniziato», intervenne Gianni cercando di porre fine alla discussione.
Marco lo fulminò con uno sguardo che era tutto un programma. «Quali maschere, quelle dell’ipocrisia che portate abitualmente?» ribatté vagando con lo sguardo all’intorno. Puntò l’indice contro Gianni. «Racconta anche al tuo grande amico… di fallimenti, quello di cui ti sei vantato con me?»
Gianni avvampò. «Ora ne ho abbastanza!» sbottò alzandosi. «E’ ubriaco, andiamo, Luisa», aggiunse rivolgendosi alla moglie. «Voi che fate, restate?» domandò poi all’altra coppia.
Luisa rimase seduta, così come fece Edoardo, mentre Bruna si alzò e si rivolse al marito: «Che fai? Non vieni? Non vedi che mi sta insultando… non capisco per quale motivo, ma vuole farci litigare», concluse impacciata.
Marco notò lo sguardo corrucciato di Luisa. «E tu, Luisa, cosa vuoi fare? Andartene, o conoscere la verità?»
Luisa piantò uno sguardo tagliente dentro gli occhi di Bruna, che li abbassò. «La verità… voglio sapere tutto, vai avanti, Marco», rispose tenendo gli occhi addosso a Bruna.
«Ebbene…» esordì Marco, Infilò di nuovo l’indice nella coppa di gelato, lo portò alle labbra, lo succhiò e concluse soddisfatto, «sembra che alla nostra sensuale Bruna… piacciano particolarmente certi lavoretti di lingua…»
Edoardo balzò in piedi. «Bastardo! Chiedi immediatamente scusa a mia moglie!» proruppe sporgendosi in avanti piantando i pugni in mezzo al tavolo, rovesciando inavvertitamente un paio di bicchieri.
Istintivamente Marco si ritrasse appiattendosi contro lo schienale della sedia: il fisico palestrato di Edoardo un certo timore lo incuteva.
Temendo il peggio le donne urlarono stridule.
Marco non si scompose, riavutosi dall’attimo di sbandamento indicò con l’indice Gianni che osservava la scena impietrito. «E’ lui che si dovrebbe scusare… non con tua moglie, ma con te», sentenziò con calma irridente.
Edoardo si tirò su, si avvicinò a Gianni e gli chiese in tono gelido: «Come stanno realmente le cose?»
«Ne parliamo domani, stasera siamo tutti un po’ troppo alticci», rispose lui, provando nuovamente a mettere la sordina alla scottante faccenda.
«No! Adesso! Lo voglio sapere ora!» urlò Edoardo.
Gianni rimase in silenzio.
Allora si rivolse alla moglie. «Coraggio, Bruna… è come penso io?»
Bruna si limitò ad abbassare lo sguardo, arrossendo.
Luisa si alzò di scatto e si porto alle spalle di Bruna. «Puttana! Puttana! Puttana!» urlava stridula, colpendo con una gragnuola di pugni la testa riccioluta di Bruna. La quale, stringendosi il volto tra le mani, la implorava singhiozzando: «Basta, ti prego… scusami… scusami… ti prego…»
«Lasciala, le stai facendo male!» esclamò Gianni afferrandole i polsi.
Luisa lo fulminò con uno sguardo feroce. «La difendi pure, la tua amante! Mi fai schifo, fate tutti schifo!» e corse fuori dalla saletta.
Gianni puntò l’indice tremante contro Marco, che si godeva il trambusto sorridendo beffardo. «Questa me la paghi…» e corse dietro a sua moglie.
«Vai, vai a consolare la tua mogliettina, pezzente!» gli urlò dietro Marco, e giù risate.
Bruna scosse il capo e se ne andò con il mento tremolante senza proferire verbo.
«Gran bella notte di Halloween… che ne dici, Edoardo, ti è piaciuta? Non vai a consolare la tua fedele mogliettina?» domandò in tono sarcastico. Poi ingollò un altro bicchiere di vino.
Edoardo, che aveva assistito all’uscita di scena di due streghe e un azzimato vampiro immobile come una cariatide vestita da zombie, indicò con lo sguardo Ersilia. «Sei così sicuro che tua moglie non abbia nessun scheletro nell’armadio? No, scusa, intendevo dentro il letto!»
Il sorrisetto ironico si spense, lo sguardo di Marco si fece torvo. «Ersilia», disse soltanto, e tanto bastò.
Ersilia si alzò e corse fuori piangendo.
«Che fai, grande uomo, non corri a consolare la tua dolce metà?» domandò Edoardo, usando le sue stesse armi.
Marco fissava la tavola imbandita, le sedie vuote, i piatti vuoti, i bicchieri vuoti, il gelato che si stava sciogliendo nelle coppe. «Con chi?» domandò con un filo di voce.
«Non avrebbe potuto farti un dispetto peggiore… ti avesse tradito con un capitano d’industria, l’avresti forse appuntata al petto come una medaglia al valore. Ma con uno che tu giudichi un fallito… questo no, non te lo doveva proprio fare», rispose Edoardo con una calma esasperante, girando e rigirando il coltello nella piaga mentre gli si avvicinava.
«Mi ha tradito con te», realizzò incredulo.
«Lo so, è dura… devi fartene una ragione», ribatté Edoardo appoggiandogli una mano sulla spalla. «Addio, Marco», concluse in un sospiro.
«Aspetta!» esclamò Marco.
Edoardo, ormai prossimo alla porta, si voltò.
Marco seduto al tavolo gli dava le spalle. «Quale sarebbe il dispetto peggiore che la moglie di un fallito potrebbe fare al marito?» domandò tranquillamente guardando la coppa di gelato davanti a sé
Edoardo subodorò la trappola. «Non ne ho idea!» tagliò corto afferrando la maniglia della porta.
«Andare a letto con l’amico odiosamente ricco!» esclamò Marco senza voltarsi. «Fosse andata a letto solo con l’amico tuo pari, l’avresti anche potuta perdonare, ma così… come si fa…»
«Ti stai arrampicando sugli specchi», lo interruppe Edoardo aprendo la porta.
«Se ti può consolare saperlo, ti posso garantire che anche il comportamento della moglie del tuo caro amico non si può definire specchiato… Chi credi che paghi i conti salati della palestra e del centro estetico che frequenta un giorno sì e l’altro pure? Gianni con le misere provvigioni che raccatta vendendo carta e penne?» proseguì Marco ostentando un’insopportabile protervia.
Edoardo trasse un profondo respiro. «Ti stai inventando tutto», ribatté poi stringendo i pugni.
Ma il respiro ansioso e il tono poco convinto, spinsero Marco a sferrare il colpo decisivo. «Vuoi che ti descriva i soggetti e i punti esatti del corpo dove si trovano i graziosi tatuaggi di Bruna?»
«Vaffanculo! Bastardo!» latrò digrignando i denti Edoardo, prima di andarsene sbattendo la porta.
Marco sorrise amaro. «Ci siamo fatti davvero male, tutti quanti… è stata davvero una serata mostruosa, degna di Halloween, oserei dire.»
Poi ingollò il bicchiere della staffa, si alzò e, uscendo, chiosò: «Vediamo di toglierci ‘sto costume da gran cornuto!»
Marco indossava un costume da diavolo, accessoriato di coda e corna!
FINE
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L'AUTORE Vecchio Mara
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Il racconto è pulito, lineare, con un sottotesto evidente, ma non invadente (siamo mostri anche senza bisogno di maschere) e con un pizzico di sarcasmo che non guasta. C'è un refuso all'inizio - da l\'unico invece che dall\'unico - e la punteggiatura dl paragrafo che inizia con "il collante\ mi desta qualche perplessità. Piaciuto, ciao.
PS. chissà perchè se ne parla sempre poco, ma i titoli sono importanti quindi spendo due parole: "La cena delle beffe", anche senza stare a scomodare il film ("e chi non beve come me peste lo colga") mi pare forse un tantino "rivelatore". Boh.
Naturalmente si fa per conversare. Sia ben chiaro che non voglio insegnare niente a nessuno.
Ciò premesso, parto.
Mi rifaccio a un’osservazione di Marco Malvaldi: i segni d’interpunzioni non sono solo pause, ma anche operatori logici.
Il tutto sarà più chiaro con un esempio: prendiamo la frase:
il maestro dice lo studente è un asino
che bello, una frase senza segni d’interpunzione, così fastidiosi e complicati da gestire.
Però può essere letta così:
1. il maestro dice: “Lo studente è un asino”.
oppure così:
2. il maestro, dice lo studente, è un asino
I due punti sono una pausa, e anche le virgole, ma sono delle pause ben diverse che, come si vede, cambiano totalmente il senso della frase a seconda della posizione in cui sono messe e, nel parlato, del tono della frase perché quella più importante è detta con maggior enfasi, magari a volume più alto.
L’enfasi, però, nella lingua non si sente ed ecco perché, anche se le tre pause possono avere durata uguale, si usano segni di punteggiatura differenti.
Quindi la durata della pausa è importantissima, ma non è tutto e ci sono altri fattori che entrano in gioco.
Veniamo adesso alla tua frase “conveniva a Marco invitare i due a cena oppure alla sua villa al mare in modo da poterla esibire la sua opulenza”.
Allora: “oppure alla sua villa al mare” è evidentemente un inciso: la principale ”conveniva a Marco invitare i due a cena” sta in piedi da sola anche senza l’inciso, che (se ben ricordo l’analisi del periodo) è un frase disgiuntiva perché pone un’alternativa tra l’invitare i due a cena oppure alla villa. L’alternativa però è messa “dentro” la principale e quindi è posta all’interno di due pause... ma queste due pause sono di uguale durata, quindi virgola prima, virgola dopo. A riprova del fatto che sia un inciso si consideri che, al posto delle virgole, potrebbe esserci benissimo una parentesi, cioè un segno di interpunzione unico, graficamente separato in due. La frase potrebbe essere benissimo “conveniva a Marco invitare i due a cena (oppure alla sua villa al mare)”. Sceglie l’autore il segno da usare e, secondo me, lo sceglie in base all’importanza che dà all’inciso: le parentesi sono un segno piuttosto forte e tendono a far scomparire quello che sta al loro interno – quindi secondo me bene hai fatto a usare le virgole, perché credo che le due alternative siano importanti quasi allo stesso modo.
Il periodo però prosegue con una preposizione (sempre se ben ricordo l’analisi del periodo) consecutiva
conveniva a Marco invitare i due, a cena oppure alla sua villa al mare, allo scopo di, al fine di (molto meglio il semplice “per”) poterla esibire la sua opulenza.
Ora: io non sento nessun cambio di registro tra le due proposizioni, principale e consecutiva, né nessuna pausa, quindi, secondo me, basta la virgola che chiude l’inciso.
Tu però senti una pausa più forte e, sia ben chiaro, è un’alternativa parimenti dignitosa.
A questo punto, quale segno di interpunzione infilarci?
Ci potrei mettere i puntini di sospensione (io non li amo affatto), come se la frase fosse:
conveniva a Marco invitare i due a cena, oppure alla sua villa al mare, aspetta che te lo dico eh? per poterla esibire la sua opulenza.
La frase quindi diventa:
conveniva a Marco invitare i due a cena, oppure alla sua villa al mare... in modo da poterla esibire la sua opulenza.
Però a questo punto vado a compromettere un po’ la chiarezza dell’inciso, che inizia con un segno di interpunzione e finisce con un altro. A mio parere, pertanto, la formulazione ideale resta
conveniva a Marco invitare i due a cena, oppure alla sua villa al mare, per poterla esibire, la sua opulenza
Eh sì, perché l’ultima virgola, quella prima di “la sua opulenza” ci vuole proprio: dici che cosa Marco voleva esibire e lo dici dopo una breve pausa che serve a creare aspettativa.
Vabbè, tutto questo, lo ripeto, per conversare: lo scrittore può usare la punteggiatura con una certa libertà. Se decide di non attenersi ai codici comuni, cioè quelli che consentono di comunicare nel modo più chiaro e preciso possibile, deve tuttavia accettare il rischio che il lettore legga frasi come “il lettore pensa lo scrittore è un somaro” in modi, diciamo... particolari.