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"PUNTO E A CAPO" Racconto Giallo / Noir / Thriller
di oedipus
pubblicato il 2018-06-16 11:28:05
Questo racconto è nato dall'ispirazione che ha suscitato in me il racconto GH di 90Peppe90, quindi scrivo con uno stile non mio.
Scrivo non per il lettore, ma per me, per liberarmi dall'ispirazione che a volte mi perseguita.
Per questo ho dovuto scrivere, per liberarmi.
Prendetelo per un gioco.
Aveva da pisciare e da vomitare.
Da pisciare e da vomitare, ma vomitare no, non lo voleva proprio perché così avrebbe perso tutto l’alcol che a fatica aveva ingurgitato. In realtà voleva rimanere ubriaco il più possibile, perché se ci fosse stata l’occasione quell’alcol gli sarebbe servito, eccome!
Nella notte spingeva la macchina a correre, e era accecato dai fari di tutte quelle che gli venivano incontro. No, non voleva provocare un incidente, nessuno al di fuori di lui e del suo problema doveva farsi male.
Ma un problema certamente l’aveva!
«Basta così!» gli aveva gridato quasi in faccia e se ne era andata, la stronza. Ma lui con la coda dell’occhio l’aveva visto l’altro, il suo migliore amico, quello al quale lui gli aveva confessato tutto, quello a cui aveva confidato i problemi di quella relazione difficile e lui zitto, ad ascoltarlo e a dirgli che doveva avere pazienza che tutto alla fine si sarebbe aggiustato. Per lui si sarebbe aggiustato. Se la portava a letto quel porco!
E rimasto solo gli era sembrato che la sua vita fosse finita lì, e il barista, che aveva assistito alla scena, gli aveva incominciato a versare alcol puro nel bicchiere e per farglielo bere gli aggiungeva l’acqua, quel bastardo!
Così alla fine era uscito da quel bar davvero schifoso col portafogli di molto alleggerito a con la testa che gli ronzava, in un sottofondo di corni inglesi a tutto volume.
Gli era stato difficile aprire la macchina e mettere la chiave per avviarla, e più di una volta si era visto i fari puntati delle automobili in senso contrario dritti negli occhi e a fatica era riuscito a schivarli.
Poi la vescica aveva cominciato a fargli male.
Un dolore trafittivo, lancinante che lo faceva piegare sul volante e gli impediva i movimenti alla guida.
«No, nessun altro si deve far male tranne me!»
Si ripeteva a mente.
Gli sarebbe bastata una curva, ma quella maledetta strada buia di notte se la filava diritta dritta che avrebbe anche potuto mettersi a leggere il giornale e non sarebbe successo nulla.
Poi in lontananza comparve una insegna luminosa, in alto, blu e verde, col simbolo di una nota marca di benzina.
Devo pisciare, maledizione!
Lasciò la macchina aperta nel mezzo del parcheggio vuoto, si trascinò quasi piegato in due verso la tavola calda poco distante, annaspando nell’aria come un nuotatore fuor d’acqua, ponendo la massima attenzione a non cadere.
Dentro era caldissimo, e tutto era calmo, qualche camionista in pausa era seduto ai tavolini.
«Scusi dov’è il bagno?»
«Oldina qualcosa?» chiese il cameriere cinese al bancone.
«Prima devo andare al bagno!» e una fitta più dolorosa gli si conficcò nel bacino.
«In fondo a destla» e si aprì in un sorriso largo e divertito.
Il fondo del corridoio era lontanissimo, e percorrendolo si appoggiò alle pareti. Nel mezzo gli arrivò, imprevisto, un principio di vomito che gli portò in gola acqua acida vomitevole che ristagnò nel retro bocca per un istante e poi se ne tornò giù da dove era venuta.
Devo pisciare, maledizione, e devo pure vomitare, maledetto barista!
Quando finalmente arrivò trovò un lavabo tanto piccolo che a malapena ci potevi lavare le mani e difronte un piccolo stanzino con la porta aperta e un cesso.
Ormai se la stava facendo nei pantaloni, lo sfintere non aveva più retto e per resistere aveva preso il suo membro e se l'era strizzato fino a chiudere l’uretra. Poi con la sinistra, perdendo ulteriore tempo, si era calato i pantaloni e le mutande e si era aperto in una pisciata che sembrava la cascata del Niagara.
Il getto scalfiva una melma marrone che giaceva nel fondo del WC, perché lo scarico, come quelli di tutti i cessi delle stazioni di servizio, era rotto e secco.
Quando finalmente tutta l’urina era finita nel cesso, si sentì sollevato, più leggero, ma ancora non si era tirato su i pantaloni, che gli tornò il reflusso acido fino in gola.
Se riuscissi anche a vomitare!
Ma ancora non aveva finito il suo pensiero che tutto il bagno cominciò a ruotare in un vortice che se il cesso non fosse stato tanto sporco, non avrebbe nemmeno cercato di resistere a rimanere in piedi, ma si sarebbe certamente sdraiato sul pavimento.
Dapprima si appoggiò alla parete e socchiuse gli occhi, poi li riaprì e rimase sbalordito.
Davanti a lui ballava tutto, ballava la parete con tutte le sue scritte e ballava, quasi animata, una figura di donna, dipinta da un’abile mano di un artista dilettante.
Ballava e cantava e cantando lo chiamava.
Vedi come sono
Sono vestita di vento
Tu mi stai cercando
E io non ti sento
Ancora mi stai amando
Ma se le mie parole vuoi sentire
questo è dei numeri il conto
1357 1357
Lasciò che tutto il resto continuasse a girare e fissò con lo sguardo la ballerina nella speranza di fermarla. Solo dopo qualche secondo la mise a fuoco e non riusciva a credere ai suoi occhi. Quella ballerina, formosa e completamente nuda, dalle poppe autoreggenti aveva il viso perfetto della stronza!
La sua vicenda era stata già vissuta da un altro e questi, una volta lasciato per il suo miglior amico, si era vendicato scrivendo il numero di telefono alle pareti del cesso dell’autogrill!?
Eppure il numero di telefono non corrispondeva a quello della stronza.
Era solo una coincidenza, oppure era lui che, ubriaco, vedeva lei dovunque?
Ancora gli tornò su l’acido dello stomaco e ancora una volta se ne tornò giù istantaneamente, felice di lasciargli in bocca quel sapore disgustoso e vomitevole del vomito.
Si guardò intorno, deciso a uscir via, a lasciarsi dietro le spalle il cesso, il water sporco e la ballerina nuda.
Ma la stanza girava ancora.
Guardò in alto e si stupì.
Il tubo dello scarico della cassetta dell’acqua era fermo, statico nella sua possanza.
Chi scrive un numero di telefono sul muro del cesso della stazione di servizio?
Un gay, un travestito, una mignotta di autostrada in cerca clienti tra i camionisti? Sì, è probabile, ma chi ha un numero di telefono come quello? Nessuno. Nessuno.
E allora?
Allora era semplicemente uno scherzo per ubriachi che andavano e vomitare nel cesso, ecco cos’era.
Eppure, se era uno scherzo voleva verificarlo. Era facile, bastava telefonare. L’unico problema era raggiungere i pantaloni al pavimento e tirarli su. Non senza sforzo ci riuscì e non senza sforzo riuscì a prendere il telefonino dalla tasca e pigiare correttamente i numeri.
Dapprima tutto tacque, e il telefonino sembrò spento. Quando però stava per desistere, qualcosa accadde.
Una flebile voce, che assomigliava dannatamente a quella della stronza, venne fuori.
«Pronto.»
«Pronto.» gridò quasi.
«Chi sei? Io non ti conosco!»
Certe volte solo se sei ubriaco riesci a dire certe cose.
«Sono quello che hai da poco scaricato dopo avergli giurato amore eterno!»
«Io non amo né odio nessuno, io faccio quello che faccio per necessità, io sono la necessità del mondo e senza me tutto finisce.»
Non capì nulla di quelle parole, guardò ancora davanti a sé e tutto girava, guardò lo scarico dell’acqua della cassetta e la vide ancora ferma e fissa.
«Tu sei quella stronza che poco fa mi ha scaricato e mi ha fermato la vita!»
«Sbagli, non sono lei, e ho capito chi tu sei. Tu sei quello che si è ubriacato, che poi s’è messo a guidare ubriaco aspettando la curva giusta e poi adesso sta guardando con interesse uno scarico ben solido vicino al soffitto per legarci la cinta dei pantaloni …»
Lui rimase senza parole, cercò ingenuamente una telecamera nascosta che secondo logica non poteva stare in un cesso tanto indecente.
«Ma ricorda, io non ti conosco perché non è questo il tempo per incontrarci. Tu hai un appuntamento con me tra quarant’anni. La vita è tua, vivila felice!»
Lasciò cadere a terra il telefonino, si girò verso il cesso, e sopra al piscio e alla merda vomitò dapprima l’acido, poi l’amatriciana della cena con lei e poi l’alcol che il barista gli aveva fatto bere a tradimento.
Alla fine, stremato, si guardò attorno. Le pareti si erano fermate, e la ballerina era sparita. Sul muro si leggeva solo la classica: W Fica, Quella di tua madre!
Lentamente si trascinò verso la tavola calda.
«Un Hamburger» chiese.
«Nient’altlo?»
«Un caffè doppio, per favore.»
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L'AUTORE oedipus
Utente registrato dal 2018-03-27
enrico di cesare Dopo tanto tempo sono tornato qui a leggere e ho invidiato chi scrive per puro piacere di scrivere. Mi sono riproposto di farlo anch'io, ma mi sento davvero molto arruginito.
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Ahah terza persona intendevo pardon, commentare alle tre di notte non è in fondo una buona idea ahah
Be', inizialmente ho aperto il racconto, incuriosito dal titolo e dall'immagine... e poi ho ricordato!
Ti ringrazio per le bellissime parole spese nei miei confronti, davvero, e rinnovo i miei apprezzamenti per questo racconto; per altro, non ricordavo la parte finale, per cui è stato ancora più bello, leggerla senza sapere cosa aspettarsi. Sono due diversi modi, quello tuo e quello mio, di presentare un fatto molto simile e allucinato. La cosa più terrificante, in tutto ciò, in questo tuo racconto, per come la vedo io, è il "Tu hai un appuntamento con me tra quarant'anni". Certo che se il nostro ricorderà quanto successo e si persuaderà che sia successo realmente, non so come potrà vivere serenamente sapendo tra quanti anni morirà... almeno, io non ci riuscirei, credo! Ahahah
Ciao, oedipus, alla prossima!