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"PUNTO E A CAPO" Biografia Narrativa non di genere
di Roberta
pubblicato il 2018-02-26 11:21:40
«Guardami negli occhi... sei proprio sicuro di avermi detto la verità? Guarda che la nonna capisce tutto, legge negli occhi... ». Michele capitolava e confessava, con grandissima soddisfazione di mia madre.
«Povero piccolo» pensai, «E' rovinato, proprio come me.».
«E' incredibile», dice mia madre con un sorriso soddisfatto, «Michele non riesce proprio a mentire. Si agita, abbassa gli occhi, arrossisce: quando ha combinato qualcosa, si vede lontano un miglio. Non ce la fa proprio.»
Mia madre sottintende che grazie alla sua abilità riesce sempre a smascherarlo. Che cosa avesse combinato, non lo ricordo nemmeno; sicuramente una sciocchezza. Più che di abilità, io parlerei di potere. Lei sembrava trionfante, gonfia di soddisfazione per aver ridotto alla vergogna quel bambino che quasi tremava dall'imbarazzo di essere stato "scoperto".
Mi viene in mente quando, alle medie, avevo un'amica che poi si è trasferita in Svizzera. Da lì mi scriveva ogni mese; aveva un ragazzo che, diceva, l'amava e soprattutto "la rispettava". Dopo qualche mese l'amica rimase incinta; e io, che avevo solo quattordici anni, come lei, rimasi così impressionata che lessi la lettera ad alta voce e la registrai. Non so come, mia madre s'impossessò del registratore e me la trovai davanti che campeggiava in mezzo a soggiorno con uno sguardo terribile. «E questa cosa sarebbe?» chiese squadrandomi con disprezzo. Fui costretta a giustificarmi e a confessare, come se avessi commesso chissà quale peccato. Da allora soprannominai mia madre "lo sguardo pietrificante di Medusa", o anche "faccia da toro".
Stamattina, leggendo un libro, ho trovato la descrizione di un comportamento molto simile, resa da una paziente al suo psichiatra:
«Non sono mai stata capace di dire una bugia. Ho sempre dovuto dire la verità. Tutto ciò che pensavo, provavo o desideravo mia madre lo voleva sapere […] Mi trasmise l'idea che non potessi nasconderle niente. […] Sentivo di non avere nessun diritto di nascondere qualcosa a mia madre. […] Aveva una straordinaria abilità di scoprire ciò che le veniva nascosto. Scrivevo un diario, me lo leggeva. Volevo la sua approvazione e non me la dava mai.»
Lo psichiatra riferisce che la donna, da adulta, “Era molto aperta nell'esprimere i suoi sentimenti, ma questi sentimenti erano falsi. […] Le numerose dichiarazioni esplicite sui suoi tentativi di migliorare non avevano alcun effetto sul suo comportamento. Non riusciva a rendersi conto che le sue erano parole vuote che miravano unicamente ad ottenere la mia approvazione. Aveva molte resistenze...[...]”.
Cosa accade a un bambino quando gli viene imposto il dovere di dire sempre tutto? Che nella vita non sarà capace di dire di no, dirà di sì a tutti e poi starà male per non essere riuscito a fare quello che veramente voleva, o magari dirà sempre sì e poi farà di testa sua, e allora sarà considerato inaffidabile e superficiale.
E infatti lo psichiatra prosegue: “Se non è rispettato il diritto al silenzio, il risultato è o un bambino che mente o uno che non riesce a mentire perché è stato privato del suo senso del sé.”
Inoltre, "quando l'onestà conduce alla punizione" (perché, ovviamente, dopo aver confessato si viene, da quel genere di madre che è anche la mia, svergognati e puniti), "la persona è esposta a una minaccia intollerabile: viene messa in conflitto con se stessa, e l'integrità della sua personalità è minata." Dunque, se dire la verità significa essere colpevolizzati, "l'unica alternativa, per un bambino che ha infranto una regola è quella di non dire nulla".
Ci sono però bambini nei quali il ricatto morale materno è così forte (così "invischiante", mi vien da dire), che non "possono" sottrarsi al dovere della verità, vedendo così ripetersi all'infinito lo schema: confesso la verità perché è questo che si vuole da me perché io possa essere considerato onesto, "un bravo bambino", ma ecco che confessandomi perdo tutta la stima proprio di colei dalla quale volevo essere accettato, accolto, perdonato. Alla meno peggio mi spetta un atteggiamento di compassione.
Penso che lo stesso valga anche per un adolescente: è questo il periodo in cui mia madre si trasformò da Biancaneve in strega cattiva, rovinando irrimediabilmente me e il mio fratello più fragile. Tutti gli altri fratelli avevavano imparato a non dire e a tenersi i loro segreti; solo io e "amico fragile" ci cascavamo sempre. E adesso il mio nipotino.
Ecco perché, credo, non sono in grado di prendere una decisione, e ho l'impressione che qualsiasi scelta io faccia, sbaglierò: se userò il cuore, perderò, se userò la ragione, sarò falsa e perciò sbaglierò ugualmente, e poi avrò sempre dentro l'impulso di seguire il cuore.
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L'AUTORE Roberta
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Il tuo presupposto non è’ del tutto corretto: o meglio, dipende dal peso che si dà all’errore. Qui non si tratta di aver tentato di strangolare il cuginetto, torturato le lucertole o bruciato la coda al gatto, ma di cose talmente piccole da non essere nemmeno ricordate. Il nipotino potrebbe, per esempio, aver negato o tentato di negare di aver rovesciato il vaso con la terra dei fiori, o di aver mangiato l’ultimo cioccolatino. La questione è che “non si può mentire alla nonna”, perché tanto lei ti scoverà e ti svergognerà sempre per aver mentito. Non si sfugge all’occhio della nonna, è questo il tema del brano. Tutto ciò che fai viene visto e giudicato, sarai deriso o disprezzato qualsiasi cosa tu faccia “di nascosto” da tua madre.
Basti pensare alla mamma di Woody Allen…
Be', in un caso si punisce l'errore in sè, nell'altro caso il silenzio (o forse l'aver pensato di poter sfidare l'autorità genitoriale) che invece sarebbe, tutt'al pù, un'aggravante. A me però è venuta in mente questa scena di "Frankenstein Junior" http://frankenstein junior io non mi arrabbierò
Il tuo scritto mi ha lasciato molto confusa, ho un po\' la sensazione che la cosa ti muova ancora un po\' troppo per riuscire a raccontarne lucidamente (mi scuso in anticipo se sbaglio eh) .
Però tutto ciò mi spinge a fare tra me e me altre riflessioni... altre domande... e ciò è buono.
Tipo: la bugia e il non detto (l\'omissione) non sono necessariamente la stessa cosa (benché ne dicano i cattolici), forse sono cugine, ma decisamente non sorelle.
La bugia e/o l\'omissione non nascondono necessariamente un peccato, una colpa, a volte si mente per pudore, per imbarazzo, per onestà verso qualcun altro, per convenienza, per non far soffrire. Insomma non si mente solo quando siamo stati cattivi per evitare una punizione.
A volte l'impedire di scegliere a un bambino o a un adulto cosa riferire e cosa tenere per sé, è quasi una forma di violenza alla sua intimità nonché, in altri casi, una specie di dichiarazione di non stima nei suoi confronti.
Ho letto recentemente un articolo leggero e divertente ma, secondo me non stupido, sul tema del registro elettronico. La giornalista lo descriveva come un drone, in mano ai genitori, in grado di spiare in ogni momento i figli, comportamento, assenze, note, voti in tempo reale del proprio figlio togliendogli il libero arbitrio, nonché la responsabilità che nasce da quelle bugie classiche che ci dovevamo gestire ai nostri tempi: quando impiccavi (a Roma si dice fare sega), quando falsificavi la firma su una brutta verifica o una nota o omettevi di dire il cattivo andamento in una materia. La simpatica giornalista diceva che da queste bugie nascevano delle responsabilità enormi che facevano crescere i ragazzi che le raccontavano perché nascondendo alcune cose ai genitori erano costretti a cavarsela da soli.
Oddio vedi quante? Grazie ROberta.
Ciao Monica. Allora, riassumendo: qualche estate fa assistei a questa scenetta tra mia madre e mio nipote. Casualmente, poco tempo dopo lessi l’articolo citato, in cui uno psichiatra descriveva lo stile educativo della madre di una sua paziente, che assomigliava molto a quella che mi madre aveva propinato a me, e che aveva prodotto, secondo lui, lo psichiatra, il comportamento della donna da adulta: “molto aperta nell'esprimere i suoi sentimenti, ma questi sentimenti erano falsi. […] Le numerose dichiarazioni esplicite sui suoi tentativi di migliorare non avevano alcun effetto sul suo comportamento. Non riusciva a rendersi conto che le sue erano parole vuote che miravano unicamente ad ottenere la mia approvazione. Aveva molte resistenze...” ecc. Il collegamento causa - effetto è dello psichiatra, non mio, ma mi ha fatto pensare.
Il titolo “Verità e menzogna” mi è venuto così, senza riflettere, e mi pareva suggestivo, ma in effetti la parola “menzogna” è fuorviante, perché invece il brano parla più che altro dell’omissione, cioè del diritto al silenzio. La tua frase “A volte l'impedire di scegliere a un bambino o a un adulto cosa riferire e cosa tenere per sé, è quasi una forma di violenza alla sua intimità nonché, in altri casi, una specie di dichiarazione di non stima nei suoi confronti.” riassume perfettamente il risultato della riflessione che la coincidenza tra l’episodio nonna – nipote e la lettura dell’articolo dello psicoanalista aveva innescato.
Sull’esempio del registro elettronico: sì, se lo leggessero, funzionerebbe così… ma i figli non avrebbero bisogno di mentire se i genitori si comportassero in modo diverso dalla nonna del mio brano. Di fronte a un brutto voto, per esempio, si può semplicemente dire: non è una tragedia, cerca di capire bene dove e perché hai sbagliato, la prossima volta cerca di recuperare. Quel 5 in fisica è una valutazione su quella verifica, non su di te come persona.
E qui rispondo anche a Rubrus: non si tratta di essere lassisti, ma di evitare punizioni e reagire in un altro modo. Un conto è dire: chi ha rovesciato il vaso? Ora lo raddrizziamo, prendi una paletta e rimettici dentro la terra. Oppure: chi ha mangiato l’ultimo cioccolatino? La prossima volta se ce n’è ancora uno chiedete il permesso. Il problema è che le sceneggiate tipiche dell’educazione vecchio stampo possono creare danni.
Ciao, Roberta.
Ho letto con interesse questa riflessione biografica, pagina di diario, non so.
Apre a molte considerazioni. Ora:
1) la menzogna non è mai cosa buona, il compito di un educatore (genitore o altra persona addetta a fare ciò) è insegnare che essa può avere in certi casi anche serie ripercussioni, soprattutto quando con la crescita si incorrono in sanzioni differenti dalla sgridata. La menzogna però va di riflesso alla verità ed esistono due tipi di questa.
2) La verità oggettiva dei fatti. Es: io ho rotto un bicchiere di cristallo. Sono stata io e non posso dire che il bicchiere lo ha rotto Mario o che il bicchiere si è rotto da solo. Però posso aver rotto il bicchiere e tranquillamente ammetterlo perché sono cose che capitano.
La verità soggettiva: costruita attraverso lo sviluppo del proprio punto ciritico di vista. Avviene per prove e controprove e attraverso la percezione di noi stessi che gli educatori ci hanno infuso.
Tornando al bicchiere rotto.
Sono un bambino e confesso che il bicchiere di cristallo si è rotto a me, sono sincero.
Posso avere indietro due tipi di risposta: 1) che non è niente di grave, capita, per evitare che capiti certi oggetti occorre maneggiarli con attenzione perchè hanno un valore economico, poi si rischia di tagliarsi con i pezzi rotti, inoltre le cose possono avere anche un valore affettivo e dispiacersi se si rompono, come avviene per i giochi preferiti.
Questa risposta si attiene ai fatti e non è connotata da giudizi.
Questa risposta farà in modo che il bambino non menta in situazioni analoghe. Quando maneggerà il cristallo saprà come deve fare per non romperlo, ovvero acquisisce sicurezza di sé attraverso l'esperienza precedente.
2) La seconda risposta: Sei uno sbadato, il bicchiere faceva parte della collezione di famiglia. Devi fare più attenzione.
Questa risposta calca solo un giudizio negativo sul bambino e non sul fatto, infonderà anche il senso di colpa e farà in modo certo e sicuro che: il bambino non maneggerà più cristalli (non si sente capace di farlo) e/o se dovesse ripetersi l'accaduto, mentirà o farà cadere la colpa su altri o svilupperà una verità soggetttiva che gli farà dire che siccome il bicchiere era scivoloso, e Mario lo ha spinto da dietro, il bicchiere si è rotto. Insomma una verità manipolata che tenderà a coinvolgere altri e una falsa percezione del sé. Cioè a dire: io sono bravo solo se gli altri me lo confermano, oppure farò finta di essere bravo.
In genere gli educatori perfetti non esistono (nessuno lo é), ma in genere spingere qualcuno (anche un bambino) a violare il proprio diritto alla privacy o al silenzio usando parole che infondano il dubbio e che siano giudicanti (non occasionalmente, ma come modo di relazione), attiene al potere di controllo sugli affetti, un altro capitolo che non appartiene a questa sede, ma alla psichiatria come del resto tu stessa hai collegato. Un caro saluto.