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"PUNTO E A CAPO" Racconto Fantascienza / Cyberpunk / Steampunk
pubblicato il 2018-01-25 10:00:20
Una famigliola percorreva il viale poco trafficato, diretta verso il parco torinese della Pellerina. L'uomo procedeva imprecando ad alta voce. La moglie e il figlio, un grazioso ma sciupato ragazzino sui nove anni, dallo sguardo intenso e i corti capelli castani dritti come gli aculei di un istrice, lo seguivano in silenzio, a pochi passi di distanza. Poco prima alla donna era sfuggita una frase fuori luogo e i coniugi avevano iniziato a litigare. Il motivo della discussione non contava. Un nonnulla, infatti, bastava ad alterare l'uomo, che maltrattava moglie e figlio da anni. I due ne erano terrorizzati ma sopportavano, perché nonostante tutto continuavano a volergli bene.
Ora lui si stava arrabbiando sul serio e non bisognava mai farlo arrabbiare. I tre erano appena entrati nel parco cittadino ancora deserto, infreddoliti dalla frizzante aria mattutina di quei primi giorni di marzo del 2017, quando la moglie gli rivolse la parola nel tentativo di rabbonirlo. Per tutta risposta l'uomo le assestò un manrovescio così energico da farla volare a terra, dopodiché la sollevò di peso e la batté ancora, più volte. La donna ricadde, priva di conoscenza.
Il bambino, che nel frattempo si era messo a piangere e implorava il padre di smetterla, vide la mamma immobile e le corse incontro, chiamandola a gran voce.
Il padre lo scrutò, sempre più infuriato.
«Sta zitto, stronzetto, basta piagnistei.» – Ordinò avanzando di un passo. – «Guarda che ne ho anche per te.»
«Perché sei così cattivo, papà?» Osò chiedere il piccolo tra un singhiozzo e l’altro.
«Basta, ho detto. Fa silenzio.» Ribadì l'adulto, grigio in volto, fissandolo minaccioso e compiendo un altro passo verso di lui.
Il ragazzino trattenne un gemito e sollevò coraggiosamente lo sguardo a incontrare quello paterno. Per un breve istante i suoi occhi innocenti furono attraversati da un lampo di ferocia.
Il genitore dovette intuire qualcosa, perché dapprima parve turbato e subito dopo la sua ira si accrebbe incontrollabilmente. Sollevò un braccio.
«Te la sei voluta.»
***
Il 16 maggio 2065 due uomini silenziosi, chiusi in una specie di scafandro, percorrono a passi lenti e cadenzati un terreno accidentato. Tutt’intorno affiorano macerie e ossa umane. A uno o due chilometri di distanza, alcuni miseri scheletri arborei sono l’unico memento dei boschetti appartenuti in passato a un parco cittadino. Più oltre sorge, imponente, un quartiere di torri moderne, che avvicinandosi si rivela diroccato. È un mondo morto, freddo e desolato, dove nulla si muove. Sopra di loro il sole s'intravede appena, pallido e spento, quasi del tutto nascosto da un grigiastro e uniforme pulviscolo.
Tempo dopo il più anziano dei due, un uomo dal volto stanco solcato da rughe profonde, con i radi capelli e la barba grigi e in disordine, indica al compagno un fabbricato apparentemente intatto, situato circa a metà strada tra il luogo in cui si trovano e i palazzoni.
«I laboratori privati erano là, Roberto. Con un po' di fortuna vi troveremo quanto ci occorre.»
«Bene professor Spaltro. Dopo tutti questi anni di preparativi sarebbe proprio ora di agire.» Risponde l'altro, un giovane troppo magro e un poco ingobbito, con la faccia ispida.
Mentre stanno per giungere all'ingresso dell'edificio, un frenetico zampettare attira la loro attenzione. Qualcosa di piccolo e nero sparisce fulmineo dietro alla carcassa di un autocottero pubblico. Roberto raccoglie una pietra e la scaglia, rabbioso, in quella direzione.
«Dannate bestiacce, sopravvivono ancora!» Esclama poi.
«Resistono alle radiazioni e alle alterazioni ambientali e climatiche. Forse abbiamo appena incontrato uno dei prossimi signori della Terra.” Risponde il professor Spaltro.
A quelle parole Roberto è scosso da un tremito nervoso, tanto intenso da costringerlo a sedersi a terra. Per riprendersi gli occorrono alcuni minuti.
«Allora che se la goda» – dice infine – «se non sapremo cambiare le cose gliela cederò volentieri. Ho appena trent'anni e vivo in questo inferno ormai da sei! Ce la dobbiamo fare. La prospettiva di trascorrerne così altri quaranta o cinquanta mi spaventa.»
«Ammesso che per noi una prospettiva di vita esista.» Scappa detto al suo interlocutore.
«No, per favore professore, non smetta di crederci, noi tutti contiamo su di lei. Quella stessa scienza che ci ha condotto sull'orlo dell'estinzione grazie a lei ci salverà, ne sono certo.»
Terminato il discorso Roberto si rimette in piedi e, mentre il compagno di escursione scrolla le spalle contrito, in pochi passi raggiunge il portoncino e ne afferra la maniglia.
«Sei sicuro di farcela? Possiamo riposare un poco, se lo desideri.» Chiede Spaltro, osservandolo con apprensione.
«Non si preoccupi, professore, mi sono perfettamente ripreso. Abbiamo un compito da portare a termine e non abbiamo tempo da perdere. Speriamo solo di trovare tutto ciò che ci serve.»
***
Marzo 2017. Serafino Magnani viveva solo in un piccolo appartamento condominiale, in un quartiere semi periferico di Torino. Quel mattino era sveglio già da un pezzo, ma si stava ancora crogiolando a letto, sotto le coperte, senza alcuna voglia di cominciare la giornata. All'improvviso si drizzò di scatto a sedere e rimase qualche momento immobile, come in ascolto.
«Ah, ancora quella voce nella mia testa. Dunque dovrò farlo per davvero? Ma perché proprio io? Non capisco.» Commentò poi, a bassa voce.
Una richiesta imperiosa, udibile da lui soltanto, lo tormentava. Guardò il suo orologio da polso col datario: sì, erano proprio giunti il giorno e l'ora designati. Si alzò con una profonda mestizia conficcata nel cuore, si vestì in fretta e furia, si sistemò sul naso appena pronunciato i tondi occhialetti scuri e uscì, deciso a scoprire la verità e nel caso a obbedire. Pochi minuti dopo giunse al parco e si guardò intorno, torreggiando sui suoi centonovantasette centimetri di statura. Ed eccoli lì, proprio come gli era stato predetto: una donna svenuta a terra, un bambino in lacrime a farle da scudo e un uomo che avanzava, furente e minaccioso.
«Guarda che ne ho anche per te.» Sentì esclamare a quest'ultimo.
Serafino alzò lo sguardo al cielo con un amaro sorriso rassegnato. Quanto era chiamato a compiere lo addolorava, povero piccolo, ma proprio allora la voce stava tornando a farsi udire. Da anni Serafino Magnani, attraente e pacifico gigante biondo impiegato in una ditta di pulizie, sentiva le voci. Schizofrenia, era stata la diagnosi, malattia mentale per cui era stato a lungo in cura. A causa di ciò la moglie l'aveva abbandonato portandosi via i bambini, dopo avergli detto di non avere alcuna intenzione di farli allevare da un pazzo.
All'epoca Serafino aveva accettato supinamente il verdetto medico, per natura non metteva mai in discussione l'autorità. Ora però sapeva che gli psichiatri si erano sbagliati e così l'ex consorte. Quella che sentiva era la voce di Dio e lui ne era l'emissario, non aveva più dubbi in proposito. Dio l'aveva risvegliato dal suo torpore.
***
Il professor Andrea Spaltro e i suoi quattro collaboratori sono seduti intorno alla scrivania, dinanzi allo schermo acceso del computer principale, nello stanzone del rifugio adibito a laboratorio. In sottofondo si sente il ronzio del generatore che fornisce l'energia elettrica.
«Cosa facciamo, boss? Tergiversiamo da mesi, non ne posso più. Lì, nel passato, c'è tutta la nostra speranza per il futuro. Incominciamo?» Chiede, strizzando freneticamente gli occhi, il più giovane del quintetto, un bel ragazzone dai lunghi capelli e la barba biondi.
Il capo ricercatore l'osserva per un istante e distoglie subito lo sguardo, infastidito dal tic nervoso. Da tempo ha riconosciuto in lui i sintomi della schizofrenia. Prima della spaventosa catastrofe che ha coinvolto l'intera umanità sarebbe stato facilmente curabile, ora invece quel giovanotto alto e biondo, Raffaele Magnani, dovrà convivere con la malattia mentale.
Sei anni prima era stato soltanto un promettente studente del secondo anno, che frequentava una sua materia fondamentale alla facoltà di fisica di Torino, eppure al momento di formare la squadra si era dovuto accontentare della sua preparazione ancora inadeguata: con le comunicazioni spezzate, tra i pochi superstiti con cui era riuscito a entrare in contatto, appena due avevano conseguito un dottorato in materie scientifiche e di questi uno solo era davvero capace.
Andrea Spaltro volge lo sguardo sugli altri tre membri del gruppo, Roberto Fusaro, Luca Re e Gianluca Masi. Assentono all'unisono. Lo scienziato sospira rassegnato.
«D'accordo ragazzi, abbiamo effettuato tutte le verifiche possibili e immaginabili, inutile esitare ancora. Vuoi avere tu l'onore, Roberto?»
«Grazie professore. E che Dio ce la mandi buona.» Risponde Roberto Fusaro, ansioso ed eccitato a un tempo, dando l'avvio. Comincia quindi a trasmettere.
***
Serafino Magnani ascoltò un'ultima volta il verbo. Dio non gli fornì ulteriori spiegazioni, peraltro superflue. Ribadì solo la necessità di uccidere il bambino lì, senza testimoni, affinché la responsabilità ricadesse sull'adulto, cioè sul padre, sventando altri sospetti.
Io – Pensò – sono l'Angelo della morte, non devo dubitare, Dio ha detto che per quanto spiacevole sembri, il delitto servirà per evitare una futura catastrofe e io gli credo. E almeno quel bastardo del padre avrà quanto si merita.
Così il colosso appena ribattezzatosi Angelo della morte ubbidì. Mise in movimento le sue lunghe leve e in pochi attimi, proprio mentre lo sconosciuto sollevava il braccio per colpire il figlioletto, piombò su entrambi. Il bruto lo udì e si voltò, ma non fece in tempo a reagire. Con un preciso colpo di karate Serafino lo mise fuori gioco, quindi raccolse una pietra e aggredì il piccino, troppo scioccato per tentare la fuga. Infine provvide a incastrare il padre con le impronte e si allontanò prima che questi potesse riprendersi.
Incamminandosi, il gigante biondo si guardò intorno. Un tizio stava passando ad alcune decine di metri di distanza facendo jogging, concentrato sui propri passi con le cuffie nelle orecchie. Non sembrava essersi accorto di nulla. A parte costui continuava a non vedersi anima viva.
Serafino si sentiva male dentro. Non poteva convivere con un ricordo così terribile, la sua mente rifiutava l'evento. Rientrato a casa si sedette sconvolto in poltrona e ben presto si assopì, rimuovendo dalla coscienza l'assassinio commesso. Due ore dopo, quando gli squilli del telefono lo svegliarono, ebbe solo l'impressione di aver fatto un brutto sogno, di cui era in grado di rammentare appena poche immagini, sempre più confuse.
***
Andrea Spaltro e Roberto Fusaro discutono, cupi, nello stanzone in cui trascorrono la maggior parte delle giornate. Gli altri attendono nelle proprie camere.
Il prestigioso ma ormai attempato ricercatore lavorava al progetto, con la sua esigua equipe, da circa quattro anni. Era un piano disperato e lo sapeva, ma non poteva restarsene in panciolle. Se viaggiare di persona nel tempo era impossibile, in compenso aveva trovato la maniera di sfruttare i tachioni, particelle più veloci della luce, con energia inversamente proporzionale alla velocità, massa immaginaria e conseguente capacità di muoversi temporalmente all'indietro, per inviare messaggi nel passato.
Il nemico da abbattere era Francesco Clerico, persona frustrata e incattivita eppure dotata di fascino e carisma. Protagonista di una vertiginosa ascesa politica, era diventato il primo presidente degli Stati Uniti d'Europa eletto dal popolo. Incapace tuttavia di arrestare la grave crisi economica in atto nella novella nazione, sfavorito alle successive elezioni e schiavo di smodate rabbie e ambizioni, al termine del mandato quinquennale si era assunto la responsabilità di attaccare l'Unione Fondamentalista Islamica Afroasiatica. Così, vanificando in un sol colpo sia i sacrifici compiuti dall'umanità per arrestare i cambiamenti climatici causati dall'inquinamento, sia il positivo lavoro diplomatico svolto per il conseguimento della pace universale, aveva provocato una guerra nucleare, dapprima locale, poi globale.
Non appena ebbe concluso lo studio teorico e la parte più delicata del lavoro tecnico, Spaltro trascorse mesi alla ricerca di un'opportunità per eliminarlo prima del conflitto e del conseguente fallout, prima ancora, anzi, che vincesse le elezioni. Gli occorreva inquadrare un momento in cui si sapesse con esattezza dove si trovava e in cui fosse indifeso. Infine aveva scovato una notizia pubblicata quarantotto anni prima, nell'inverno del 2017: un bambino aggredito con tale violenza da necessitare il ricovero ospedaliero.
“Picchia a sangue i familiari nel parco cittadino”. Titolava il quotidiano.
“L'uomo nega ogni responsabilità, tuttavia gli inquirenti non sembrano nutrire dubbi sulla sua colpevolezza”. Riportava il sottotitolo.
Secondo il giornale il fatto si era verificato alle otto e trenta circa del mattino. Benché i carabinieri avessero subito individuato il marito e padre dei ricoverati come autore del pestaggio, in assenza di testimoni oculari e di una denuncia da parte dei familiari, avevano già dovuto rimetterlo in libertà. Il bambino era per l'appunto Francesco Clerico e forse era stato proprio quell’incidente a segnare nella sua psiche il punto di non ritorno. A ogni modo, data e luogo esatti in cui agire erano stati finalmente focalizzati.
Ricerche effettuate poco prima della guerra, avevano congetturato la sporadica esistenza di mutanti con l’udito idoneo a sentire messaggi vocali inseriti in pacchetti d'onda tachionici. La caratteristica genetica, forse ripresentatasi per innumerevoli generazioni ma di fatto superflua e per giunta sempre collegata a una forma di schizofrenia, non donava alcun vantaggio evolutivo atto a favorirne la trasmissione ai discendenti. Tuttavia per una volta l’anomalo fattore poteva rivelarsi utile. Per sfruttarlo occorreva confermare l'ipotesi e trovare la maniera di indirizzare i pacchetti con precisione nel passato.
Purtroppo è stato come uno sparo nel buio, ora l’equipe ignora perfino se i suoi messaggi sono stati ascoltati.
«Continua a non accadere nulla, è inutile negarlo, abbiamo fallito. Nessuno li ha intercettati o li ha presi abbastanza sul serio da metterli in pratica.» Esclama Fusaro con voce rotta.
«Forse. Io ho voluto attendere speranzoso, perché non si sa mai, però ti devo confessare di non aver mai creduto davvero che per noi esistessero reali possibilità. È per questo che continuavo a procrastinare. Mi dispiace, amico mio.»
«Co... come sarebbe, professore? A che scopo allora tutto ciò?»
«Vedi, ecco, io... io...” Spaltro non riesce a proseguire. Vorrebbe guardare il collaboratore in faccia e parlargli chiaro, perché sa di doverglielo, ma un groppo in gola glielo impedisce.
«Io cosa? Vada avanti, per favore, voglio capire cosa intende.»
«...Quel che ho da dire non ti piacerà, Roberto.»
«Non importa, non mi tenga sulle spine, la stimo, la rispetto, ma... la scongiuro, devo sapere.»
«D'accordo. Io, vedi, ho condotto il progetto perché tenere la mente occupata con qualcosa che non fosse soltanto la mera sopravvivenza quotidiana ci avrebbe aiutato a tirare avanti. Speravo di procrastinare fino a quando la situazione fosse migliorata a sufficienza da darci l'opportunità di ricostruire la società, ma tu eri troppo in gamba, il miglior allievo che abbia mai avuto, e hai saputo imprimere alle ricerche una decisiva accelerata».
«Ma perché non crederci? Con Raffaele funzionava, causavamo sul serio paradossi temporali: messaggi ricevuti prima ancora che noi li inviassimo.»
«Sì, ma gli inviavamo solo messaggi neutri. Lui li trascriveva e ce li faceva leggere dopo che noi li avevamo trasmessi, non cambiavano il futuro. L'avevo voluto io, ricordi? Scommettere che giocare col passato potesse mutare il presente era un azzardo e lo sapevi anche tu. O davvero t’illudevi che un giorno ci saremmo svegliati in una differente realtà, magari perfino con ricordi inediti?»
«Ci contavo, sì. Volevo crederlo, a ogni costo. Dopotutto Clerico era un personaggio cardine, ipotizzare che la sua uscita di scena cambiasse radicalmente la situazione non era assurdo.»
«Quanto affermi è vero, tuttavia le teorie discordano. Tu conosci gli sviluppi matematici completi della teoria delle stringhe e gli effetti quantistici modellati dai fisici Sidney Coleman e Frank de Luccia, no? Tu sai fin dove portano le equazioni delle stringhe.»
«Naturalmente, portano agli universi paralleli. Avevo studiato quegli argomenti, rientravano nel mio piano di studi.»
«In questi anni eri però troppo distratto dalle tue speranze per prenderli in considerazione e ragionare a fondo sul loro significato. Avevi un progetto da realizzare e, come hai appena detto, volevi crederci a ogni costo.»
«Cavoli professore, sarà pure come dice, ma a parte il fatto che sono sempre stato scettico riguardo al multiverso, anche perché le prove indirette della sua effettiva esistenza presentate nel 2040 non mi sono mai parse convincenti, la questione esula dalle nostre ricerche sui fenomeni temporali.»
«Eh, no, mi dispiace dovertelo dire, purtroppo è così solo in apparenza. Vedi, secondo l'ipotesi a mio parere più accreditata, grazie al processo noto come “tunnelling quantistico”, potremmo aver soltanto causato una divaricazione del continuum spazio temporale, facendo aprire nel 2017 un nuovo universo parallelo al nostro, o per meglio dire facendo aprire un nuovo universo bolla, in espansione, membro del cosiddetto “multiverso paesaggio”, in questo caso particolare senza però la variazione della costante cosmologica teorizzata da Steven Weinberg. Il nuovo universo si svilupperebbe sulla base dei mutamenti da noi artificialmente provocati, perciò la morte precoce di Clerico potrebbe effettivamente avere evitato il nostro tragico presente. E forse ora, in quell’irraggiungibile altrove, due nostri equivalenti stanno vivendo un’esistenza normale».
L'allievo piega la testa, vinto.
«Una ben magra consolazione, per noi.» Sussurra infine.
«Già, ma meglio che niente.»
«E non potremo nemmeno mai sapere se è davvero accaduto.»
Ciò detto, Roberto Fusaro volta le spalle al superiore e s’avvia mesto alle proprie stanze. Si sente a pezzi. Solo la speranza l'aveva sorretto. Una speranza che intuiva utopica, ma a cui si era aggrappato con tutte le forze. Dovrà dunque trascorrere un’intera, inutile esistenza chiuso in quel maledetto bunker? Il pensiero lo ripugna.
Rivolge lo sguardo alla porta stagna più interna. Un universo parallelo? In cui magari sarebbe perfino sposato con figli? Può anche darsi, lo deve ammettere, tuttavia nell'unico che conosce e che mai conoscerà, quello in cui lui vive, nel “suo” anno 2065 la salute di tutti loro è già in parte compromessa. Quanto sopravviverebbe all’aria aperta senza un'adeguata protezione? Tre ore? Quattro, forse? Si avvicina all’ingresso, meditabondo. Avrebbe una gran voglia di scoprirlo.
***
Due giovani e un bimbetto di circa un anno atterrano con l’autocottero pubblico, unico tipo di velivolo autorizzato ad attraversare aree urbane, all’ingresso del parco cittadino della Pellerina. Appena usciti all'aperto l'uomo estrae dal mezzo un passeggino elettronico semovente, vi sistema il figlio e lo attiva. Quindi, mentre l'autocottero si rimette automaticamente in volo grazie al computer di bordo, la coppietta s’incammina mano nella mano nel verde. Ha con sé l'occorrente per il picnic e un refrigeratore portatile. È una splendida giornata di luglio e si sente felice.
«Che bel sole! Ci voleva proprio una boccata d’aria, vero Roberto? Sono così contenta che hai potuto prenderti una pausa.»
«Per fortuna oggi l’attività di ricerca è sospesa, il professor Spaltro è impegnato con la sessione di esami, assistito da Giovanni Renfru e da quel suo nuovo biondo portaborse, ricordi che te l'ho presentato? Per un giorno gli studi sulle particelle possono attendere.»
La famigliola rasenta uno dei canali, all’ombra delle immense chiome degli alberi secolari, poi sale su un ponticello. Giunto al centro il bebè si sporge, attirato dal quieto mormorio dell’acqua sottostante.
«Guarda amore, guarda quanti bei pesciolini!» Esclama allora la mamma dopo avere ordinato alla carrozzina di fermarsi.
Attraversano quindi il sovrappasso e procedono lungo il bordo del torrente artificiale, seguendo la direzione della corrente.
Alle loro spalle giunge un richiamo:
«Ehi ragazzi, il piccolo ha perso il ciucciotto!»
A parlare è stato un vecchio asciutto e prossimo ai due metri di statura, dagli ancor folti capelli bianchi e il naso, appena pronunciato, sormontato da un paio di moderni occhialetti telescopici. L'ultraottantenne è seduto sulla panchina appena oltrepassata. La ragazza l’osserva con interesse: da giovane dev'essere stato un gran bell’uomo – le viene da pensare. Assomiglia un poco a Raffaele Magnani, l'aitante neo assistente del docente e preside di facoltà Andrea Spaltro, che pare un guerriero vichingo e tanto l'ha colpita all'ultima festa d'inizio anno accademico.
«La ringrazio, signore. È stato gentile ad avvisarci.» Dice lei con un sorriso.
E recuperata la tettarella il trio si allontana spensierato.
Fine.
Racconto ispirato al romanzo “TIMESCAPE”, grande ma non molto noto classico della letteratura fantascientifica, premio Nebula 1980, scritto da Gregory Benford, e in seconda battuta dal fascinoso saggio “LA REALTA' NASCOSTA Universi paralleli e leggi profonde del cosmo” (2011) scritto da Brian Greene.
Postato originariamente nel 2013 su Neteditor come “Sliding doors – Angelo della morte”; ampiamente revisionato, ampliato e riproposto col titolo attuale mercoledì 19 ottobre 2016; ulteriormente ritoccato entro il 24 gennaio 2018 per la versione, spero definitiva, che avete appena letto. Massimo Bianco.
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L'AUTORE Massimo Bianco
Utente registrato dal 2017-11-01
Savonese e forte lettore, posto racconti (noir, di fantascienza e altro) e saggini su alcuni dei miei scrittori preferiti, sperando di offrire momenti di piacere e talvolta di riflessione. Ho pubblicato 2 romanzi cartacei, "Per gloria o per passione" sul calcio giovanile e "CAPELLI. Dentro la mente di un serial killer" più il saggio, scritto a 4 mani con A. Speziali, "Savona Liberty. Villa Zanelli e altre architetture". Altri miei scritti su http://www.truciolisavonesi.it dall'home page cliccate in alto su ARTICOLI PER AUTORI e poi su Massimo Bianco Buona lettura.
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Ciao Massimo. Parto dicendo che il racconto mi è piaciuto, è una di quelle storie che trovo molto a me congeniali. Tratta di un argomento molto affascinante e lo fa anche con un certo rigore scientifico, anzi per certi versi è in parte quasi un mini trattato divulgativo su determinate teorie. Forse il suo limite maggiore, se me lo consenti, è proprio questo: una certa freddezza nella storia, condizionata forse dal compito di farla aderire a quelle teorie e che (a mio parere, ovviamente) stenta un po\' a coinvolgere il lettore. Ma a pensarci meglio, probabilmente quello che veramente condiziona la storia, che avrebbe ben altre potenzialità, è la sua brevità: costretto a condensare la tanta carne che ci sarebbe da mettere al fuoco in quelli che sono i limiti di scrittura che (come ben sappiamo) ti sei autoimposto, il risultato finale ha un po\' il sapore di un riassunto. Un bel riassunto, ci tengo a ripeterlo, ma che lascia solo trasparire quello che una storia di più ampio respiro avrebbe potuto trasmettere in termini di intreccio, psicologia dei personaggi e ambientazioni storiche e spazio-temporali. Ripeto che sono considerazioni del tutto personali, ma mi sarei volentieri immerso nella lettura di questa storia in una versione più lunga e articolata, anche due o tre volte le 3200 parole circa che hai usato qui.
Un caro saluto.
P.S.: Darei un'occhatina alla formattazione, ci sono alcune righe nelle quali si susseguono font diversi.
Ciao Tony, prima di tutto ti ringrazio per la visita, la disamina e l'apprezzamento, poi, guarda, come puoi immaginare, sulla lunghezza sono d'accordo con te. Rispetto alla versione originaria del 2013, annata in cui mi preoccupavo di mantermi conciso più degli anni precedenti o successivi, di ritocco in ritocco l'ho dilatato di un buon migliaio di parole, proprio perchè, considerata la complessità del tema, a mio parere questo racconto aveva tutto da guadagnare da una maggior lunghezza che permettesse di conseguenza anche una maggiore chiarezza. Per fortuna gli utenti presenti attualmente in questo sito sono più o meno tutti favorevoli agli scritti lunghi e ne sono lieto perché così qui mi sento più a mio agio, ma io voglio pensare anche ai comuni visitatori-lettori che sul web storcono la bocca di fronte a scritti lunghi e poi ormai che lo avevo impostato in quella maniera non sentivo più il bisogno di espanderlo molto di più, come avrei invece fatto se avessi concepito questo scritto per il cartaceo. Peraltro anche i concorsi previsti per il cartaceo talvolta non permetto lunghezze molto maggiori di questa.
Quanto alla componente teorica, io sono conscio che inserire nei racconti passi molto scientifici li appensantisce, ma in tutta sincerità ci tengo a far così, io mi documento e voglio che la mia fantascienza abbia un certo rigore, è il mio modo di concepirla. Questo ce l'ha e anche perciò è uno dei miei due fantascientifici preferiti, con uno al terzo posto che per ora lascio inedito per altri usi. Buona settimana.
P.S.: per quanto riguarda la formattazione: ogni volta che in uno scritto uso caratteri diversi anche solo per poche righe, quando poi pubblico mi sballa tutta la fomrattazione e non so porvi rimedio perchè non c'è più verso che vengano come voglio io, quindi in futuro risolverò il problema evitando di farlo in partenza. In questo caso per rimediare ho ingrandito i caratteri delle prime 20-25 righe in modo che si leggessero meglio, poi il resto andava quasi tutto bene e per evitare di incasimarmi di più (come mi è successo un'altra volta) parendomi problema troppo da poco per andare a scocciare l'Admin (tanto più che nella mia ignoranza tecnica faticherei a spiegargli bene il problema), ho deciso che può andar bene così, non mi pare che distrurbi troppo la lattura.
Massimo, leggendo questo racconto mi vengono in mente i primi tempi di Poesieracconti. In quel sito eri l'unico, o comunque il più bravo, in questo genere a me ostico, come scrittore, e da allora, anche seguendo alcuni tuoi suggerimenti, ho ampliato le mie letture( sto leggendo 100 racconti di Ray Bradbury, per esempio, 1300 pagine). Ecco che allora, pur non avendo mai scritto racconti come i tuoi, riesco a godermeli maggiormente, e a capirli. Questo poi contiene il classico tema del passato e della possibilità di cambiare il futuro, uno di capisaldi della narrativa fatascientifica. Come tutti i tuoi è scritto molto bene, con rigore e precisione, ed anche per questo risulta scorrevole e godibile. leggendo alcuni commenti devo confermare che anch'io penso che il tema trattato richiederebbe uno spazio quasi da romanzo breve...ma insomma, accontentiamoci che su questo sito siano ben visti i tagli maxi, e non solo il famos tglio web, utile per certi siti ma anche molto limitante. primo o poi posterò anch'io un racconto di dieci pagine ( scrivo in Open Office), credo di circa 5000 parole.
Ciao Massimo, sono racconti del 2014, ho ritrovato la tua mail che mi avevi spedito. Però, non ne conosco il motivo, non riesco ad aprire i manoscritti e forse non ci riuscii nemmeno a quel tempo. Sono d'accordo con te che questo sito, così come Net, è certamente migliore rispetto a Pr ma anche agli altri, in particolare proprio per la sezione Narrativa. Gli scrittori di narrativa che pubblicano qui, e prima su Net, gli altri siti se mli sognano. per la poesia non mi pronuncio...ciaociao.
(Avevo per sbaglio confermato l'invio del commento in fase di stesura, per cui se dovessi leggerlo incompleto è per questo, ahah).
Quello che mi è piaciuto particolarmente, di questo racconto, è la parte narrata al presente e relativa al futuro. Quella in cui, nello specifico, il professore parla con Roberto degli eventuali esiti dei loro tentativi di salvare il presente e della possibilità di aver creato mondi paralleli dove forse, almeno lì, potrebbe esserci la speranza di una vita normale. Il finale chiude degnamente questa fase dialogata - la mia preferita, appunto - che fa parte di un racconto che mi è parso troppo - passami il termine - "didascalico" nella sua stesura. Non so, mi è parso (al di là, appunto, delle parti che ti ho segnalato) troppo sintetico, quasi un resoconto piuttosto che un vero e proprio racconto. Questo non rende la lettura noiosa o poco interessante ma, da lettore, mi è mancata quella spinta decisiva che solitamente mi fionda dentro le storie che leggo e mi fa immedesimare nella situazione.
Credo di aver scritto tutto quello che dovevo scrivere, adesso, ahah
Ciao, Max, alla prossima!
Insomma volevate tutti una specie di romanzo. Sai cos'è che vi ha un poco disturbato a te e a Tony, secondo me? Che in questo racconto i personaggi e la loro psicologia sono stati poco approfonditi, meno del mio solito, vedasi in particolare la famigliola del prologo, di cui praticamente nulla si sa, a parte quanto accade. Unica parziale eccezione, forse, Roberto Fusaro. Ma ciò era inevitabile, essendo i personaggi tanti, suddivisi com'erano in ben due diverse epoche e anche due diversi universi. Se avessi agito diversamente lo avrei dovuto dilatare davvero parecchio, questo racconto. D'altronde il minor approfondimento psicologico è tipico della fantascienza, genere in cui "l'idea" tende a prevalere su tutto il resto, come ben spiegò Robert Heinlein in un brano che ho riportato nel mio saggio a lui dedicato. Infine ciò che tu definisci "didascalico" io lo definisco "chiarezza": ricordo che quando avevo proposto questo racconto nel 2013, a qualche lettore la trama non era risultata molto chiara, ma con la versione attuale credo che difficilmente il problema si possa ripetere. E ciò rientra nel mio stile classico: rispetto, ad esempio, a Rubrus io tendo a spiegare assai di più. Insomma, posso sbagliare, naturalmente, ma a me tutto sommato "Tempo" convince così com'è e resta uno dei miei preferiti. Grazie per la visita e per l'apprezzamento, benché parziale. Ciao e alla prossima, boy.