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"VIRGOLETTE" Saggistica Recensioni (libri, film e qualsiasi forma artistica)
pubblicato il 2020-05-29 19:01:32
IL NICHILISMO ESTATICO/RADICALE DEL DETECTIVE RUSTIN SPENCER "RUST" COHLE E DEL TRAPPER HUGH GLASS
"(31) 9 [41] Che cos'è una fede? Come si forma? Ogni fede è un tener per vero.
La forma estrema del nichilismo sarebbe il sostenere che ogni fede, ogni tener per vero sia necessariamente
falso: perché non esiste affatto un MONDO VERO. Dunque:
un'illusione prospettica, la cui origine è in noi (avendo noi costantemente bisogno di un mondo ristretto, abbreviato, semplificato).
In tal caso la MISURA DELLA FORZA è costituita dal punto sino al quale possiamo ammettere, senza rovinarci, l'illusorietà e la necessità della menzogna.
In questo senso il nichilismo, come NEGAZIONE di un mondo vero, di un essere, potrebbe risultare un modo di pensare divino."
Frammenti Postumi, Friedrich Nietzsche
Durante la pandemia un via vai continuo di autoambulanze terrorizzava il quartiere dove abito.
Mentre le assordanti sirene accompagnavano i malcapitati al pronto soccorso del vicino Ospedale, riguardavo per la seconda volta la serie TV - True Detective - stagione uno.
Nei momenti più oscuri della crisi epidemica me ne stavo sul divano a conversare con il detective della sezione omicidi della Louisiana Rustin Spencer "Rust" Cohle, interpretato da un - non so più quali aggettivi usare per questo attore incredibile - fenomenale Matthew McConaughey, al quale tutti noi - ammiratori delle arti audiovisive applicate alla narrazione di una storia compiuta -, abbiamo tributato un Oscar globale interpsichico.
True Detective - stagione uno - e "Revenant-Redivivo" di Alejandro González Iñárritu (dove possiamo assistere ad un'altra strepitosa performance attoriale, quella di Leonardo DiCaprio) sono i classici nei quali mi sono rifugiato, come templi sulle alture sopra il mare in tempesta, durante l'infuriare del coronavirus.
Mi piace condividere con voi quello che ho visto tra quelle colonne e nella loro cella segreta; dalla citazione iniziale potete immaginare che ho intravisto dei modi di pensare divini.
In True Detective - stagione uno - lavorano tre artisti in stato di grazia: il creatore e sceneggiatore Nick Pizzolatto, il regista Cary Joji Fukunaga e lo strepitoso attore Matthew McConaughey, che trascinano un cast che rasenta la perfezione di altri artisti e attori.
In questo capolavoro il nuovo medium artistico della Serie Tv, raccoglie il testimone da Twin Peaks di David Lynch e tocca l'apogeo delle sue capacità espressive.
Ma attenzione, dai tempi di Twin Peaks è avvenuta la rivoluzione dell'era di Internet: ai tempi della televisione commerciale la serialità era fatta del “tempo dell’attesa” della nuova puntata, oggi le serie possono essere montate e consumate dal gusto personale dello spettatore come un’unica esperienza artistica privata.
Lo scaricamento della serie tv dalla rete, resa poi più facilmente fruibile dalle “cooperative” di traduttori che li sottotitolano per tutti noi, ha introdotto nel mondo delle arti audiovisive applicate un nuovo TEMPO DELLA VISIONE.
Lentamente ma inesorabilmente, un’operazione apertamente condannata dalla passata e defunta industria dell’audiovisivo, all'epoca ormai giurassica delle TIVU' commerciali, diventa uno stile di visione ufficialmente approvato proprio dall’establishment culturale e intellettuale che, fino a ieri, era il paladino della difesa del copyright secondo i vecchi dettami del secolo scorso.
Questa nuova modalità di visione è fondamentale per capire TDS1 - d'ora in poi per True Detective - stagione uno -; come arriverò presto a raccontarvi proprio il problema del tempo e il modo di pensiero per comprenderlo - il nichilismo estatico/radicale del detective Rust Cohle - è il nodo cruciale sia della serie in questione che di tutto il medium artistico esaminato.
Nel caso del detective Rust Cohle il nichilismo estatico è un atteggiamento filosofico scelto, consapevole e volontariamente diretto a una responsabilità etica che spingerà Rust a continui, ostinati tentativi per cercare di risolvere gli omicidi della Louisiana; mentre nell'esperienza del trapper Hugh Glass questo "modi di pensare divino" arriverà come conseguenza delle terribili prove esistenziali che il cacciatore/esploratore Glass dovrà subire ed affrontare.
Cominciamo con il detective Rust Cohle.
Lousiana 2012. Gli ex detective Rusty Cohle (Matthew McConaughey) e Marty Hart (Woody Harrelson) vengono ascoltati dalla polizia statale, dai detective Maynard Gilbough e Thomas Papania riguardo una loro indagine del 1995.
I detective sospettano che Rust, nel corso delle lunghe indagini, abbia commesso dei crimini e cercano di farlo cadere in contraddizione.
Rust in realtà, come sempre, è lucidissimo - nonostante le lattine di birra "Lone Star" - marca di mediocre qualità negli U.S.A. - e parte con delle strane digressioni, come questa:
"Avete mai sentito parlare della "Teoria M", detective?[...]
E' tipo...
In quest'universo noi gestiamo il tempo in una maniera lineare, che procede in avanti.
Ma fuori dal nostro spazio-tempo, da quella che sarebbe una prospettiva quadri-dimensionale (Rust alza un braccio al cielo per indicare la prospettiva dello spazio-tempo eterno), il tempo non esisterebbe.
E da quella posizione, sempre se riuscissimo a raggiungerla (Rust prende una lattina vuota di birra e la posiziona nella mano sinistra), vedremmo che...(Rust tira una manata alla lattina di Lone Star e l'accartoccia) il nostro spazio-tempo è come appiattito.
Come fosse un'unica scultura...di materia in sovrapposizione con ogni luogo che abbia mai occupato.
La nostra vita si ripropone ciclicamente, come le automobili s'una pista da corsa (Rust indica il cerchio della lattina spiaccicata).
Capite, tutto cio' che e' fuori dalla nostra dimensione...e' eternita'.(Rust mette in piedi sul tavolo cinque omini di latta costruiti con le varie lattine di birra svuotate).
E' l'eternita' che ci scruta dall'alto.
Ora, a noi...sembra una sfera.
Ma per loro... e' un cerchio."
Ora, tutto questo potrebbe sembrare un pippone filosofico, per chi non ha visto la serie fino a questo momento.
Ma se non avete tempo di farlo, vi chiedo di porre grande attenzione a quel "loro" che Rust significa ai due dective statali.
Siamo nel corso del quinto episodio della serie, e abbiamo pertanto raggiunto e superato da poco la metà della narrazione complessiva.
I due detective Rust e Marty hanno pedinato uno spacciatore sospetto, tale Dewall, sospettato di far parte della setta criminale che rapisce e uccide bambini e donne in nome di un'oscura potenza infernale, fino al suo nascondiglio. Non volendo chiamare subito gli aiuti, i detective decidono di affrontare gli spacciatori da soli. I due sospetti si arrendono senza fare resistenza, ma la situazione precipita quando Hart, trovando due bambini in condizioni aberranti, uccide a sangue freddo l'altro spacciatore Reggie Ledoux, costringendo Cohle a colpire l’altro spacciatore e a inscenare una sparatoria.
Ma il fatto più inquietante è che Reggie, prima di morire, ha sussurrato una strana profezia a Rust:
"E' il momento, vero? Le stelle nere. Le stelle nere sorgono. So cosa succederà ora. Ti ho visto nei miei sogni. Ora sei a Carcosa, con me.
Lui ti vede. Lo farai di nuovo. Il tempo è un cerchio piatto.
Il sole cala sulla sponda del lago Hali. Il gemello. Stelle nere volteggiano in cielo".
I vaneggiamenti di un drogato spacciatore e assassino? Rust li prende molto sul serio e spiega ai due detective statali Maynard Gilbough e Thomas Papania - troppo distratti dai loro piani nei confronti di Rust - perchè non ha nessuna intenzione di mollare le indagini di quelle terribili morti che si succedono ormai da diciasette anni.
“Una volta qualcuno mi disse: ‘Il tempo è un cerchio piatto‘. Ogni cosa che abbiamo fatto o che faremo, la faremo ancora e ancora e ancora, e quel bambino e quella bambina si troveranno in quel posto ancora e ancora e ancora per sempre”.
Per quei mostri, quei cinque "loro" che ossessionano Rust da diciasette anni, l'eternità è qualcosa che può assicurare l'immortalità delle loro indicibili pratiche e dei loro abominevoli esseri, che ritorneranno in eterno nel cerchio piatto.
Rust, il nichilista radicale/estatico non può accettare quell'infernale Mondo Vero e vuole e deve agire per mettere fine a quell'orrore del quale non vuole rimanere spettatore in eterno.
Non lo accetta.
E' pronto a morire pur di evitare altre sofferenze ad altri innocenti, ad altre donne e ad altri bambini, pur di strapparli dalla trappola cosmologica di quell'eterno ritorno infernale.
Se avrete piacere di leggermi ancora e di farmi compagnia, continueremo insieme a capire come Rust metterà fine all'orrore con il suo modo di pensare divino; e vorrei anche condividere con voi il nesso analogico che ho intuito tra questo problema del tempo e la pandemia che ci sta colpendo.
- fine della prima parte, continua -
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L'AUTORE Mauro Banfi il Moscone
Utente registrato dal 2017-11-01
Visual storyteller, narratore e pensatore per immagini. Mi occupo di comunicazione tramite le immagini: con queste tecniche promuovo organizzazioni, brand, prodotti, persone, idee, movimenti. Offro consulenza e progettazione del racconto visivo per privati, aziende e multinazionali. Per contatti: zuzzurro.zuzzu@gmail.com
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Non ho visto la serie - ma ho visto il film di Inarritu- Nella scena sopra riportata comunque non è difficile scorgere una forte influenza di Lovecraft sia a livello di forma che di contenuto. Carcosa, il lago di Hali sono collegate a uno dei tanti presudodei del pantheon lovecraftiano, cioè Hastur. HPL quasi non parlò di Hastur,, ma lo fecero i suoi epigoni e forse gli sceneggiatori vi hanno fatto ricorso perchè nominare Cthulhu sarebbe stato troppo facile (e forse persino stucchevole, visto che ormai lo fan saltar fuori da tutte le parti). A livello di contenuto il concetto di "mondo vero" orribile (e di cui ci viene risparmiata la visione ma che è percepibile attraverso una perversa ritualità) iè tipicamente lovecraftiano, anzi, secondo me è il fulcro stesso di tutta la concezione dell\'autore di Providence, l'idea senza la quale i suoi mostri diventano (e in effetti sono diventati) cattivacci da videogioco. Un''idea che troviamo - insieme a quella di una diversa concezione dello spaziotempo - nel film "The Arriva", tratto, se non sbaglio, da un racconto di Ted Chang. Se non lo hai visto, te lo consiglio.
Ciao Roberto, penetranti e ottime considerazioni, as usual.
Mi piacerebbe con questo mio studio farti venire la voglia di guardare questa serie capolavoro, perchè avviene qualcosa d'insolito al genere noir, di cui tu sei grande cultore, lettore e scrittore - per me il numero uno in Italia, e non mi scuso per la mia tendenza all'iperbole, perchè in verità uso la closure -.
In questa indagine comunque m'interrogo sul genere/medium Serie TV, che al suo meglio mi sembra una riuscita combine artistica tra cinema, televisione e letteratura.
Nino Frank, il primo a usare il termine "noir" nel lontano 1946, pensando a certo cinema poliziesco americano e al grande genere hard boiled di Hammet e Chandler, che tu tanto sai ben coniugare, definiva i contorni del genere come caratterizzati dall'indagine degli aspetti più crudi e oscuri della vita naturale in genere e di quelli più degradati della società - qua l'hard boiled va in carrozza -, indugia su violenza e immoralità e su tutto ciò che desta le nostre paure (non in modo sovrannaturale come nell'horror), e ne tenta in conseguenza anche l'esorcismo - non riuscendoci sempre -.
E' stato detto da una certa narratologia ultratecnica che non prediligo molto, che il postmoderno e la serie TV operano "uno stress della gabbia dei generi".
In True Detective più che di stress parlerei di dilatazione dei linguaggi della gabbia di genere, e questo mi ricorda molto anche il bellissimo Arrival che menzioni.
Per questo ho cominciato dal quinto episodio della serie nella mia seconda visione durante l'infuriare pandemico.
E per me hai fatto centro, ma hai dimenticato il solito convitato di pietra, o forse l'hai dato per scontato.
Il quinto episodio ha due protagonisti occulti che vanno a braccetto intellettualmente e filosoficamente parlando.
H.P.Lovecraft e Fridrich Nietzsche. Cthulhu - Carcosa come ben dici è solo una sua maschera nichilistica, un buco nero vuoto che attrae fondamentalisti e fanatici del nulla - e il pastore che è stato attaccato da un nero serpente che gli si è infilato nella trachea, nel noto enigma sull'eterno ritorno del terzo libro di Zarathustra, forse la scena horror più riuscita della storia della filosofia.
Pizzolatto è stato accusato di plagio, com'è noto, per la faccenda del nichilismo di Ligotti che a sua volta nel suo "La cospirazione contro la razza umana" avrebbe plagiato il filosofo norvegese Zappfe che a sua volta era ispirato da Nietzsche che a sua volta aveva come primo maestro poi rinnegato Schopenhauer e aveva studiato molto bene il nostro Leopardi. Inoltre la narrativa nichilista ha altri maestri del genere che senz'altro Pizzolatto conosce: Celine, Genet, Cioran e un autore che adesso va molto di moda: Eugene Thacker, con il suo "Tra le ceneri di questo pianeta"( e anche qua Lovecraft va alla grande), che dopo il C0vid-19 ha avuto la stessa propulsione di vendite come Spillover di David Quammen.
Per me l'accusa è ridicola e basta vedere la serie per capirlo, se si ha qualcosa a che fare con la letteratura e la filosofia.
Qua avviene la dilatazione della gabbia di genere: Rust non combatte solo con i maniaci fanatici fuori di lui ma anche con il nichilismo dentro la sua anima. Pizzolatto introduce tra i nemici "noir" di Rust il nichilismo in tutte le sue differenziazioni e propagazioni.
Questo noir metafisico, dove il filosofo di Rocken e il solitario di Providence s'incontrano per rifondere nella strepitosa recitazione di Matthew McConaughey un'angoscia trascendentale alla quale non avevamo mai assistito in una serie TV, terrorizzano Rust in questo senso.
Se il tempo è eterno e torna sempre indietro, allora gli orrendi crimini della setta ritorneranno sempre e saranno immortali.
A un certo punto Rust dice: "se la morte non è la fine siamo tutti fottuti"- mia traduzione dall'inglese -.
E' questo terrore che lo spinge ad andare avanti nella lotta in nome di un minimalismo etico, che non è più fatto di idealistiche maiuscole, tutte annientate dal nostro mondo tecnico e ipermaterialista, ma solo dal sollievo che chi è in preda a questa angoscia metafisica può provare nell'alleviare le sofferenze degli innocenti, delle donne e dei bambini.
In TDS1 e in Redivivo/Revenant opera un potente simbolo molto antico: la spirale doppia.
Già millenni fa i primi pittori primitivi rupestri avevano intuito i due rivolgimenti della spirale: dall'umano al divino - o inumano, oggi post umano -, il versante destrogiro/orario e dall'inumano/divino/post umano all'umano, la dinamica levogira/antioraria.
La borraccia di Hugh Glass provato da ogni tipo di male e le vittime della setta del Re Giallo hanno tutti la spirale levogira; per la scienza che studia le galassie il moto orario ha la capacità di concentrare l'energia e quello antiorario di disperderla.
E arrivo alla ridicolizzazione del mostro nei videogiochi, una tua idea fondamentale che metti nella tua narrativa da tanti anni.
Per Rust è insostenibile l'idea che un torturatore di bambini possa diventare immortale con l'eterno ritorno.
Qualcosa deve fare per spezzare quell'assurda metafisica, e la fa: come schiaccia la lattina con una manata e come il pastore ascolta Zarathustra e morde la testa al serpente nero e la sputa, vincendo l'angoscia.
Rust non è un santo e non è un eroe: nella sua vita ha attraversato tutte i tipi di nichilismo - studiati e descritti nella sua opera da Nietzsche - e sa bene chi ci è e chi ci fa.
E chi ci fa non ha niente a che vedere con l'eternità ma è solo un buco nero che collasserà dentro se stesso, svanendo nel niente.
E' questo l'antico e arcano dramma tra luce e oscurità - dramma che veniva ripetuto nei sacri e segreti riti di Eleusi ed era il fondamento della civiltà greca -
E per questo Rust per diciasette lunghi anni bracca e combatte i fanatici nichilisti e il loro patetico e assassino Mondo Vero inumano, disumano.
"The Arrival" è bellissimo ma è più focalizzato, a mio avviso, sul problema della comunicazione tra civiltà e culture diverse che su quest'angoscia metafisica basica nell'essere umano.
E per questo che Rust, dopo aver ficcato una pallottola in testa al Re Giallo, pronuncia la controversa frase: "adesso la luce sta vincendo".
La luce non sta vincendo, o almeno non in maniera assoluta, lo sappiamo bene, sopratutto dopo questo periodo terribile; è solo un minimo accendersi di stelle rispetto al buio completo e assoluto della notte generata dai fanatici nichilisti.
Rust ha solo guadagnato una piccola feritoia di luce al buio totale in cui siamo immersi, ma in quella feritoia riluce la stella di chi soffre e lotta per contrastare l'oscurità che tenta di stritolarci e avvolgerci.
Finirei, se sei d'accordo, con Giovanni:
"4 In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5 la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l'hanno accolta."
Un commento così complesso rischia di portare lontano prima ancora che la disamina sia terminata, perciò mi limito a riportare un’impressione: tanta narrativa “nera”, fantastica e non, così abbiam messo dentro anche l’horror, è incentrata su quello che il giovane Stephen King ne “Le notti di ‘salem” definisce, per bocca di Ben Mears, “il ritorno ciclico del male”. La radice psicologica di questo tema, se vogliamo sposare quest’approccio, è stata canonizzata da Freud nel famoso saggio “Il perturbante” e descritta come “ritorno del rimosso”. Possiamo ritenere sufficiente questa definizione, e muovere da essa, oppure guardarla da un punto di vista filosofico o narrativo. Sul primo non mi soffermo a lungo, stante le mie limitate competenze, ma citare il Baffone (e limitarsi a citarlo) è doveroso, così come non riesco a trattenermi dal notare che gran parte del pensiero umano filosofico e religioso passa attraverso la presa d’atto di questo fatto, il ritorno ciclico del male, appunto, per poi giungere alla comprensione della ineluttabilità di esso (e della morte, dunque) e finire affermare in mille modi e accenti diversi, dal Nirvana all’Apocalisse, con la sua Nuova Terra e Nuovo Cielo, una promessa di liberazione da questo infinito, incessante rincorrersi del dolore. Narrativamente, il racconto del ritorno ciclico del male si trova, magari seminascosto, in moltissime opere, al di là dei generi. Lo troviamo, e già l’ho detto, in Lovecraft, con i suoi racconti sugli antichi blasfemi dei, destinati a riprendere il dominio del mondo (Lovecraft tenta di affrancarsi dicendo razionalmente che questi dei non esistono, proprio come un genitore dice a un bambino che non ci sono mostri sotto il letto, ma ciò lo annienterà come scrittore), lo troviamo, e già ho detto anche questo, in King (il tema del ritorno del male è centrale in così tante sue opere che mi limito a citare “L’ombra dello scorpione”, col suo finale “socchiuso”, e “It” dove il ritorno del mostro sepolto è l’asse portante della storia). Lo troviamo però anche in Tolkien, col suo narrare di ere ed ere in cui il male, che sia Mortogh, Sauron o Saruman, si perpetua reificandosi per esempio nell’Anello – e Tolkien si libera dal ritorno affermando la Morte del Mito e allo stesso tempo la sua trascendenza, cioè la sua separazione definitiva dalla Terra di Mezzo, cioè la nostra. Lo troviamo però, per esempio, anche in quelle che io chiamo le Storie del Cavaliere della Valle Solitaria – e qui siamo finiti dalle parti del Western e anche di tanti noir o film di guerra – con l’eroe dal passato tormentato che trova, magari per un po’ un’oasi di pace… ma il male lo trova anche lì. Dato che ha compiuto da poco novant’anni, mi pare d’obbligo citare Clint Eastwood, che narra questo racconto ne “Il Cavaliere Pallido” e lo porta a compimento ne “Gli Spietati” che è un western “crepuscolare” già dall’inizio perché ci mostra l’eroe (per così dire) che è stato già raggiunto dal male proprio all’interno dell’oasi di pace che aveva tentato di crearsi (la fattoria di Munny è in malora prima che inizi la storia vera e propria); tutto il film è il racconto di un riluttante avviarsi lungo la strada tracciata dal destino, fino al sanguinario finale. Uscendo fin troppo rapidamente dal western (ce ne sono tantissimi: Il Cavaliere della Valle Solitaria è un western e un cavaliere della valle solitaria è l’archetipico John Wayne di “Sentieri Selvaggi”) finiamo dalle parti di Rambo. Nell’unico momento sereno del film lo vediamo cercare un contatto umano, quindi la liberazione dal ciclo del male (nella forma del Vietnam e dei propri / suoi fantasmi), ma subito il caso e il destino lo fanno ricadere nel ruolo di dispensatore di morte (rammento che il titolo originale del romanzo e del film è “Primo sangue” e mi ha sempre fatto pensare a Caino). Una Storia del Cavaliere della Valle Solitaria è stato anche l’unico romanzo che ho letto di Pizzolato, Galveston (non ne ho trovati altri), ma, ovviamente, devo concludere col noir. Lo aveva già detto Eco, che è un, anzi “il” genere filosofico perché si occupa della ricerca delle cause del male e del tentativo di liberarsi da esso. In moltissime storie noir o thriller, l’epilogo è carico di amarezza e la scoperta della verità coincide con una ferita insanabile. La perpetuazione del male, il suo eterno ritornare, è il contesto entro il quale si svolge la vicenda e da cui non ci si può liberare: la soluzione del caso è appunto la soluzione di quel caso. In tantissimi noir o thriller, risolto l’enigma, la società non è affatto migliore o più felice, ma, anzi, la scoperta della verità getta si di essa, a più livelli, una luce più cupa e sconsolata proprio perché più consapevole: come dice il Qoeleth chi accresce la propria conoscenza accresce il proprio dolore. Anche se, e proprio perché, le storie noir che hanno al centro il ritorno ciclico del male sono innumerevoli, ne cito tre: una è la classica vicenda de “Il Padrino” con tutte le sue parti (e penso di non doverla raccontare) e in tutte le sue varianti gangsteristiche, la seconda, per venire ai contemporanei e viventi, quella narrata da Don Winslow nella trilogia “Il potere del cane / Il cartello / Il confine” (anche se la prospettiva catartico – politico – declamatoria che la conclude non mi soddisfa proprio al cento per cento, diciamo al novanta), la terza, per tornare alle origini, quella di Chandler il quale prende le mosse da Hammeth (che ne “Il Falcone maltese” la aveva già affermata ma in chiave privata), cerca di rompere il ciclo del ritorno del male scaricandolo – quasi cristologicamente – su Marlowe che, sin dal primo romanzo, decide di tenere lontano il proprio cliente dalla dolorosa verità risparmiandogliela fino al momento in cui, anche per lui, e ben presto, verrà Il Grande Sonno e con esso la pace.
Ho letto con interesse il tuo pezzo e mi ha incuriosita. Vorrei vederlo anch'io True Detective ma non l'ho trovato nè su Netflix nè su primevideo. Tu lo hai scaricato? O ti sei comprato la prima stagione?
Non continuerò a leggere la seconda parte del tuo intervento perchè temo lo spoiler :) ma ritornerò quando avrò visto la prima stagione.
Grazie di queste tue proposte, sempre interessanti.
Non l'ho visto, il Redivivo mi pare troppo cruento per i miei gusti, almeno a giudicare dal trailer. Ma spero di capire comunque :)
buona serata Mauro