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"PUNTI DI SOSPENSIONE" Poesia Poesia
pubblicato il 2019-11-27 20:15:34
"Questa è la rara nuova poesia.
Un regno che non abbiamo mai conquistato: il presente puro.
Un grande mistero del tempo è la terra incognita per noi: l'istante.
Il mistero più superbo che abbiamo appena riconosciuto: il sé immediato, istantaneo. Il più veloce essere di tutti i tempi è l'istante. Il divenire di tutto l'universo, di tutta la creazione, è il sé incarnato, incorporato e carnale. La poesia ci ha dato la chiave: verso libero: Whitman. Adesso lo sappiamo.
Non stiamo parlando di cose cristallizzate e separate, segregate dall'Insieme. Parliamo dell'istante, del sé immediato, la vera autoplasmazione del sé. Parliamo anche di versi liberi."
TERRA INCOGNITA
Ci sono vasti regni di coscienza ancora sconosciuti
vaste gamme di esperienze, come melodie ineffabili di arpe invisibili,
non sappiamo quasi niente di quello che vive dentro e fuori di noi.
Oh, quando la donna/l'uomo è riuscita/o a fuggire dal reticolo del filo spinato
delle sue idee assolute e dei suoi dispositivi meccanici,
c'è un meraviglioso mondo ricco di contatti e di incontri e pura bellezza fluida
e impavida consapevolezza, un faccia a faccia della vita ormai nuda
e io, e tu e altri uomini e donne
e uva, e demoni, e fantasmi e un verde chiaro di luna
e zampe arancioni piene d'alba che movimentano il limbo della tua inerte vita quotidiana;
dell'aria sconosciuta e gli occhi così morbidi e amati
più soffici dello spazio tra le stelle.
E tutte le cose, e il nulla, e l'essere e il non essere
alternativamente palpitanti,
quando finalmente fuggiamo dal recinto di filo spinato
del fottuto "Conosci te stesso", sapendo che non potremo mai sapere tutto del tutto,
che bisogna perdersi per ritrovarsi, che c'è qualcosa in noi che è "incorreggibile" ed è Fato;
possiamo solo toccare, e meravigliarci, e riflettere, e fare il nostro sforzo
e penzoliamo in un'ultima raffinata delizia
come fa la fucsia, dondolando nella brezza la sua caduta spericolata
nel porpora, dopo tanto sporgersi pericolosamente nella libertà
e sbalordire per la lenta crescita meravigliosa di un piccolo albero.
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L'AUTORE Mauro Banfi il Moscone
Utente registrato dal 2017-11-01
Visual storyteller, narratore e pensatore per immagini. Mi occupo di comunicazione tramite le immagini: con queste tecniche promuovo organizzazioni, brand, prodotti, persone, idee, movimenti. Offro consulenza e progettazione del racconto visivo per privati, aziende e multinazionali. Per contatti: zuzzurro.zuzzu@gmail.com
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Ho letto che questa poesia è stata scritta quando D.H. Lawrence era all’ultimo stadio della malattia. Si spiega così l’atmosfera della poesia, che credo esprima uno stato inusuale dell’essere nel quale si riesce a uscire da se stessi e percepire con straordinaria sensibilità tutto il mondo esterno. Questi stati di grazia sono concessi solo in particolari circostanze, quando il nostro corpo e la nostra mente sono sottoposti a uno sforzo sovrumano. Se sopravviviamo, o se siamo costretti a conviverci, sviluppiamo questa sensibilità estrema. Ho studiato la poesia di Corazzini (morto a 21 anni di tubercolosi) per la tesi di laurea e ricordo bene che, man mano che il poeta si avvicinava alla morte, la sua poesia si faceva più rarefatta e non aveva più come oggetto l’espressione di sentimenti e stati d’animo, ma si concentrava sulla realtà esteriore che si faceva però sempre più estesa, sconfinando in una dimensione ultraterrena, quasi vivesse già la propria morte. In particolare l’ultima poesia, La morte di Tantalo, risponde a queste caratteristiche.
E calò la sera su la vigna d’oro
e tanto essa era oscura
che alle nostre anime apparve
una nevicata di stelle.
Assaporammo tutta la notte
i meravigliosi grappoli.
Bevemmo l’acqua d’oro,
e l’alba ci trovò seduti
sull’orlo della fontana
nella vigna non più d’oro.
Mi sembra che le immagini e l’atmosfera siano simili alla poesia che hai proposto. Credo che in nel caso di Lawrence l’invito a vivere l’attimo non abbia nulla a che fare con l’effimero, l'epicureismo o la superficialità: tutt’altro. Qui si tratta di andare a fondo, fermare e perdere lo sguardo su ogni cosa, entrare in profondità così tanto da sentirsene parte, quasi risucchiati. Un po’ come quando Ungaretti, nella poesia I fiumi dice:
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo
Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia
Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità
Anche Ungaretti, non dimentichiamolo, quando scrive I fiumi si trova sull'Isonzo, in un momento di tregua, ma sempre faccia a faccia con la morte.
Quello di Lawrence è un invito a vivere pienamente, uscendo da se stessi. La maggior parte delle volte non viviamo né il presente, né il futuro. Il passato probabilmente sì, perché stiamo sempre a pensare a noi stessi, a quel che ci è successo e a come poteva andare e non è andato. Non viviamo perché vediamo senza guardare, sentiamo senza ascoltare, siamo sempre distratti, facciamo una cosa e già pensiamo ad altro. Sembrano banalità, ma è così che passiamo il nostro tempo quando non lavoriamo e non siamo impegnati intellettualmente o fisicamente in qualcosa.
Passando alla questione della traduzione - tradimento, è indubbio che ognuno nel tradurre ci mette del suo e quindi tradisce in parte le intenzioni dell'autore, ma è altrettanto vero che i grandi della letteratura italiana del Novecento (Pavese, Vittorini, Montale, Quasimodo) si sono fatti le ossa (e guadagnati da vivere) con le traduzioni. Tradurre poesia è difficilissimo ma è anche uno straordinario esercizio, senza il quale, tra l'altro, molti non conoscerebbero gran parte della letteratura straniera.