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"PUNTO E A CAPO" Racconto Comico / Umoristico
di Vecchio Mara
pubblicato il 2019-04-27 15:56:19
Paolo e Francesca
«In qual landa desolata, battuta da impetuosi venti, mi hai dunque condotto?» chiese Dante a Virgilio. Osservando meglio vide figure ignude correre in vorticoso abbraccio dentro l’infernale turbine, e prima d’ottener risposta aggiunse: «Che l’è! Una sala a luci rosse?»
«L’è il girone dei lussuriosi, dove color che nella vita si fecero trascinar dalla passione, saranno in eterno trascinati nel vortice dell’uragano», rispose Virgilio.
Lo sguardo di Dante fu particolarmente attratto da due giovani figure. «Chi siete voi, o giovani amanti, che ancor correte in ‘sì appassionato abbraccio?» chiese il divin poeta, vedendo il giovinotto intendo a trastullar il fiore dell’amata.
Le due figure s’arrestarono a mezz’aria, mostrando le loro più intime nudità agli sguardi interessati dei due infernauti. «Io son Paolo, e lei, è mia cognata Francesca, moglie di mio fratello Gianciotto», rispose il giovinotto, scostando la mano, operante, dai petali carnosi della di lui amante.
«Ah! Pure tuo fratello era colui che contribuisti a cornificare! Ma va che sei davvero stronzo!» lo redarguì duramente uno sconcertato Dante.
«Chi sei tu per giudicare noi, poveri amanti?» saltò su Francesca, facendosi avanti e mettendo sotto il naso adunco di Dante, un seno che da solo valeva il prezzo pagato per visitar l’intero inferno.
«Io non sono venuto a giudicare, son qui per capire... e se l’inferno offre simili spettacoli, pur anche per vedere», rispose con un filo di lussuriosa ironia il divin poeta.
«Cercherò di farti capire il disagio che mi portò a tradire l’uomo molto ricco, ma altrettanto brutto, che fu mio sposo. Per prima cosa, prova a immaginare di doverti sollazzare una vecchia sdentata, ritorta, con l’alito che sa di chiavica, che mentre fa l’amore suda, esalando aroma d’aglio, rutta e del suo cul fa pur trombone!» lo relazionò, arrossendo, la donzella.
«Che schifo! Ma in qual cloaca l’hai pescato, un pezzo d’escremento siffatto?»
«Lo trovai, cercando fra i possessori di virtù tangibili. Tipo: castelli e possedimenti vari», rispose Francesca. E prima di esser giudicata donna un po’ venale, aggiunse: «M’applicai per esser degna sposa del mio signore, in pubblico e pure in privato. Turandomi il naso offrivo le mie grazie…» sospirò, «con poca voglia, ma le offrivo», concluse con una smorfia di ribrezzo sul volto disegnata.
«E allora come fu che cadesti preda di codesto bell’imbusto?» chiese ancora Dante, regalando uno sguardo sprezzante al giovinotto.
«Non fu colpa mia, e nemmeno sua… galeotto fu il kamasutra e le figure in esso impresse», s’intromise, difendendo il loro insano amore, Paolo.
«Il kamache?!» esclamò stranito Dante.
«Il libro che, Gianciotto, teneva sul comodino per sperimentar nuove e più ardite forme d’accoppiamento», precisò Francesca. «Il fatto è che lui, piccolo e storto, le ardite pose le iniziava ma non riusciva a portarle a compimento; non possedeva la necessaria elasticità articolare per assumer pieghe similari a quelle di due serpi attorcigliate. Così finiva, puntualmente, col piantarmi in asso a metà piega, dolorante e insoddisfatta.»
«Capisco», fece Dante, aggrottando le sopracciglia.
«Quel giorno la trovai intenta a studiar del libro le figure, alla ricerca d’una posa soft da far assumere al corpo suo e di Gianciotto, per consumare, finalmente con soddisfacente godimento, l’amoroso atto», proseguì Paolo, prendendo coraggio. «Mi chiese quale, secondo il mio modesto parere, fosse la più adatta alla bisogna. Io l’indicai col dito poi, per verificar la giustezza della mia scelta, la provammo… rimanendo entrambi soddisfatti. E da quel giorno iniziammo ad esplorar figure sempre più ardite. Così ardite, che i corpi incatenati nell’amoroso gesto faticavano non poco nel momento del distacco. Fu così che il giorno che Gianciotto, tornando a casa presto ci trovò incastrati, non riuscimmo a districarci in tempo, e l’irato mio fratello ci trapassò entrambi, con un solo colpo, a fil di spada», concluse intristito Paolo.
«Non meritavamo codesta eterna pena», singhiozzò Francesca, stringendosi all’amato. «Chi ci ha mal giudicato dev’essere mancino, non c’è altra spiegazione. Avrà un giorno ragione Silvio a lamentarsi.»
«E chi è codesto Silvio che avrà, invece di aver avuto?» chiese a Virgilio lo sconcertato Dante.
«Non ci far caso, straparla, il tempo passato a girar nel vortice l’ha mandata fuori di melone. Silvio non l’è ancora morto… in verità, non l’è neanche nato. Silvio è il prototipo dell’uomo di successo che il creatore sta testando prima di metterlo sul mercato. Sta faticando non poco a programmarlo, gli s’inceppa spesso il labiale e, come un disco rotto, ripete in continuazione: “La giustizia l’è politicizzata, i giudici sono tutti di sinistra!” e via discorrendo.»
«Capisco, l’è il solito frignone. E che ci azzecca con il girone dei lussuriosi?» chiese incuriosito Dante.
«Ci azzeccherà con questo e pur con altri di gironi. Sarà un bel problema, per il demone Minosse, trovargli una sistemazione consona al suo rango, quando, e se arriverà!»
«Perché, non è sicuro che lo mandino quaggiù?»
«Quello, pur di rimanere in paradiso, è capace di tirarla tanto lunga da mandare in prescrizione persino il divin giudizio», rispose Virgilio, scuotendo la testa. Poi indicò i due sfortunati amanti e proseguì: «Comunque, secondo me, loro meritavano almeno le attenuanti generiche!»
«Ti ringrazio d’aver compreso che siamo solo vittime del sistema… t’avessimo avuto come avvocato al tempo, forse oggi saremmo in Paradiso… o nella peggiore delle ipotesi, in purgatorio», disse Francesca, regalando, oltre alla visione delle procaci forme, un complice sorriso a Virgilio.
Ringalluzzito dal focoso sguardo della donzella, Virgilio mollò i freni inibitori. «Non ho studiato legge, non sono avvocato, ma se lo fossi stato, t’avrei difesa senza pretender monete d’oro a saldo della pingue parcella. Mi sarei accontentato di vedere, per una notte almeno, il tuo e il suo talento esprimersi sul talamo in erotiche, complicatissime figure, dal libro estrapolate.»
«Se ti piace fare il guardone, dillo chiaramente! Senza abbellire l’argomento con baroccheggianti espressioni!» lo redarguì Dante. Poi si rivolse agli amanti: «E voi, se vi sentite defraudati o mal giudicati, provate a presentare richiesta di revisione processuale alla suprema corte!»
«Provar non costa nulla, e se fosse accertata la giusta causa, potrete volar nell’alto dei cieli; e lì giunti, sistemar il vostro talamo sopra una nuvola, cullati dalla celestiale musica dei serafini in coro», aggiunse Virgilio, dando di gomito a Dante.
«Ci accontenteremo pure d’accampar il talamo accanto ai cherubini, pur di lasciare ‘sto vento infame, che sibilando t’entra in ogni orifizio», gli fece presente l’interessata Francesca.
«No! Vicino hai cherubini non si può stare!» sentenziò Dante. «E non perché stanno un po’ più lontani dal giudice supremo; ma perché, a differenza dei serafini che s’accontenterebbero di guardare, quei monellacci vorrebbero pure partecipare all’amoroso atto.»
«Qualsiasi sistemazione, pure nell’angolo più oscuro del Paradiso, ci andrebbe a pennello. Come si può fare per la richiesta?» tagliò corto Paolo, pendendo dalle labbra dei due saccenti, vedendo un fil di luce penetrar l’oltretomba.
«Dovete immergevi nelle profonde fiamme, e lì, con carta pergamena e penna d’oca in mano, scrivere la vostra richiesta al revisor divino», rispose Virgilio, schiacciando l’occhio a Dante.
«Ma non si può fare! La carta in mezzo alle fiamme brucerebbe all’istante!» sbottò Francesca, infervorandosi. «Ci state prendendo per il culo, brutti porci pervertiti!»
Virgilio e Dante si allontanarono, sganasciandosi dalle risa. «E ce ne hai messo di tempo a capirlo, t’avrei fatto più perspicace, invece sei più bischera che affascinante, il che l’è tutto dire!» l’apostrofò con tono beffardo Dante, mentre i due amanti perduti venivano risucchiati nell’infernale centrifuga.
«Speriamo di trovare altri due grulli simili a codesti, nel prossimo girone», commentò, ridendo a crepelle Dante.
«Eh, ne troveremo a iosa di grulli andando avanti, più di quanti ne possa sopportar il tuo riso… ma non il tuo pianto», chiosò criptico Virgilio.
FINE
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L'AUTORE Vecchio Mara
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